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Visualizzazione dei post da giugno, 2013

Vedi che ti ho trovato

Insistettero perchè si fermasse almeno a mangiare e volevano che restasse anche a dormire, ma non ci fu verso. Alberto aveva bisogno di aria, di cielo, di quelle stelle che da tanti anni non vedeva più. Potevano fare qualcosa per lui? «Si, mi servirebbe un coltello da cucina.» Lo guardarono interrogativi, poi gli fecero scegliere quello che preferiva. Per dormire Alberto andò verso il convento dei frati cappuccini, perchè pensava a Martina e se la sentiva più vicina. La pensava da qualche parte sui monti umbri, nel silenzio del bosco, nel silenzio di una cella, in compagnia con le suore che cantavano l'ufficio. Il convento dei cappuccini non era più come lo ricordava: il piazzale era stato chiuso con una recinzione per impedire l'accesso al portico da sempre rifugio per barboni e senza tetto: evidentemente i frati avevano deciso di negare quella ospitalità. Alberto si diresse ai vicini giardini, scavalcò la recinzione e si sistemò su una panchina. La notte era piena di s

Ti troverò, infine

Alberto uscì dal carcere un giorno di Giugno:  con un sacchetto in mano guardò la piazza polverosa immersa in una luce accecante. Barcollando si lasciò portare dalle gambe verso il centro. Girò attorno a largo Antenore: pattuglie di polizia e vigilantes lo tenevano d'occhio e ne registravano i movimenti comunicandoseli via radio. Passò per piazza Matteotti: due compagnie di giovani stazionavano ai due estremi, come cinque anni prima. Li conosceva quasi tutti ma forse era troppo cambiato perchè nessuno lo riconobbe nè lo salutò. A casa sua esaminò la fila dei campanelli ma non trovò il proprio cognome nè quello della moglie. Suonò comunque quello che era il suo: un volto sconosciuto si sporse a domandare chi è. Alberto lo guardò muto per qualche manciata di secondi, poi si allontanò in silenzio mentre quello continuava a urlare: «Chi è lei? Cosa vuole? Chi cerca?» Camminò un pezzo forse a caso o forse no perchè si trovò davanti al Centro Donna. Una grande casa rosa con una alta

Avvocato d'ufficio

Il primo giorno hanno preso in consegna i suoi effetti personali rilasciandogli una ricevuta e assegnandogli una cella di isolamento. Il secondo giorno lo ha passato davanti alla televisione e cercando di parlare con agenti sordomuti. Il terzo, finalmente fu convocato dal magistrato in una stanza enorme con un unico vecchio tavolo dove una donna acida lo attendeva consultando enormi fascicoli. «Lei conosce Martina Sconsolati signor Innocente?» «Certo, è una mia vicina di casa.» «Vuole nominare un avvocato?» Alberto ci aveva riflettuto per tre giorni e sapeva bene che non poteva permetterselo. «No, grazie. Spero che non ce ne sia bisogno e tutto si chiarisca velocemente.» «Lei ha avuto rapporti sessuali con Martina?» «Si, uno. Ma che problema c'è? È maggiorenne ed era consenziente. È stata lei a cercarmi.»  «Martina aveva bevuto? Era ubriaca?» «Forse qualcosa, perchè? Che centra?» La giudice snocciolò annoiata: «Articolo 609 ter: la pena è aumentata se il fatto è compiu

Quando esco la ammazzo

Alberto si trascina nel caldo carico di odori unti e polverosi, la mente quasi spenta dalla stanchezza e dalla birra. Ormai deve proprio rientrare, ha lasciato la compagnia indifferente e si è diretto verso casa girando attorno a largo Antenore. Una Ferrari si allontana, elegante. I condizionatori soffiano aria calda impietosa, i lampioni nascondono il cielo vuoto, una ragazza barcolla nella sua stessa direzione, le braccia penzoloni, in una mano una borsetta nera, nell'altra due sandali con il tacco alto. Alberto la conosce: è Martina, una vicina di casa. «Ciao Martina, come ti butta la nottata?» Lei lo guarda e lui vede un abisso nero di tristezza e delusione. Tende la mano, istintivamente, come con sua figlia quando tornava triste da scuola. Martina gli si schiaccia addosso e piange. Lui le accarezza e ascolta. Non sa cosa dire, vorrebbe sapere perchè quella bella ragazza è triste, una ragazza così bella che può avere e merita tutto ciò che vuole. Ma nello stesso tempo non

Villa e piscina

Un giovane alto, abbronzato, dai muscoli gonfiati in ore di palestra, sui trent'anni, con una maglietta nera aderente e pantaloni neri attillati, si ferma al gruppo si Martina. Le ragazze si aprono e lo fanno entrare, alcune lo conoscono e lo presentano alle altre, tra cui Martina che tende la mano e ne incontra gli occhi azzurri e gelidi. Ha la battuta pronta, il giovane, e le ragazze lo assistono offrendogli le occasioni per pavoneggiarsi e raccontare dei suoi viaggi, della sua vita, della sua pronta e vincente intelligenza. Gli offrono l'occasione di farle sognare. Alberto è seduto sul marciapiede con una birra quasi finita in mano, colpito dal vento caldo carico di olio e di odori. Il cielo si sta facendo nero, non promette nulla di di buono. Poco più in là un gruppetto arrabbiato discute dell'ultima telenovela, parteggiando chi per quello chi per l'altro. Un tale che si intende di cinema e dice di aver scritto qualche sceneggiatura, rubatagli per farne un film

Piazza Matteotti

I ragazzi fanno compagnia in piazza Matteotti. Ai due angoli opposti della piazza, separati da sguardi biechi, torbidi, derisori. Compagnie stabili senza legami, fisse senza centro di gravità, uguali a se stesse e sempre cangianti. Di notte o di giorno stanno seduti o in piedi, parlando o urlando, bevendo birra o fumando tabacco o erba. Di mattino arrivano quelli del turno di notte che non passano neppure per casa, mentre i disoccupati dopo la notte insonne vanno a cercare oblio tra le lenzuola. A metà mattina si scostano con sufficienza e fastidio per lasciar passare i camion della nettezza urbana ai quali si deve un qualche transitorio sospetto di decoro sui marciapiedi. Dispersi come un nugolo di mosche i due gruppi si confondono ma non si fondono, ciascuno passa accanto all'altro con disprezzo ed indifferenza per tornare in fretta all'angolo assegnato dall'abitudine. Quasi tutti ragazzi, qualche donna consumata e sciatta, spenta negli occhi e nei portamenti. Ragazzi

Largo Antenore

Largo Antenore nel tardo pomeriggio è una festa di colori, le commesse sciamano dai negozi mescolandosi alle segretarie e riempiono l'aria di voci acute, scoppiettanti. Spritz e crema di whisky, coca cola e spinelli. Martina da qualche mese frequenta la compagnia di largo Antenore, convinta che la vita vada vissuta e il lavoro appena acquisito fosse solo l'inizio di una corsa di successo, la porta aperta per uscire dalla periferia dell'insignificanza. Le ragazze più mature l'avevano accolta con magnanimità e sufficienza, spiandone tuttavia e misurandone le risorse e le potenzialità. Martina era felice di essere trattata alla pari da donne meravigliose, di cui intuiva il potere e la grande esperienza di vita. Ammirava la vivacità di alcune, la gioia di vivere, la battuta pronta, il fare spigliato, il sorriso aperto e complice, la certezza della vittoria. Dopo il lavoro Alberto passa qualche ora in piazza, tornare a casa gli è penoso. I figli, grandi ormai, se ne son

Limbo

Sono disceso al limbo del ricordo, Vi trovai il supplizio preparato, Là, fra profumi soffocati e lume sordo, Per il tappeto soffice d'un prato, Rividi molte e riconobbi donne Dolci e belle ed amate, da ogni lato. Alcune con, alcune senza gonne,- Qual con l'odor più del corpo preciso,- O nude e chiuse come le colonne.- Qualcuna con, qualcuna senza viso,- Tale appesa a un suo salto sù dal suolo,- Tal tartassata da un eterno riso,- O avvolte e maculate nel lenzuolo,- Tale scaduta in un russar tranquillo,- Tal tutta petto, o lombi o ventre solo,- O calza rotta alla caviglia,- o squillo D'un t'amo ancor dal labbro inseparato Come farfalla fissa sullo spillo. E le une alle altre stavano davanti, E questo era il supplizio preparato. E entravo con bastone e ghette e guanti, E questo era il supplizio preparato. Lanza del Vasto, Firenze 1927 Canzoniere del Peregrin d'Amore