Risposta aperta di un forse cattolico

Ci sono lettere aperte (qui) che sembrano chiare nel testo e nel contesto.
Ma appena ti provi a rispondere, capisci che non stanno in piedi.
Anzitutto, chi sono i cattolici ai quali si rivolge la lettera?
Provo a fare un esempio semplice, così forse ci capiamo.

Nel 1950 il Quebec era uno, o forse il paese più cattolico al mondo, con il 94% dei cittadini che frequentavano la messa domenicale (poichè talvolta anche i bravi cattolici non vanno a messa, supponiamo che la percentuale di cattolici sfiorasse perciò il 100%).
Oggi a messa la domenica ci va il 6%, il 50% non viene battezzato, ci sono 38 IVG ogni 100 nati vivi, e via elencando.
Ora: nel 1950 avevamo 6 cattolici che sono rimasti cattolici nel 2015, e 88 che non lo sono più. Come possiamo chiamare i due gruppi?
È chiaro che sono due gruppi abissalmente differenti: si tratta in fin dei conti di solo 65 anni, perdiana!
Per il momento, in attesa di una classificazione migliore, chiamerei l'88% del 1950 i cattolici del "potere" e il 6% i cattolici del "sapere".
Ancora una curiosità: quell'88% oggi come lo chiamiamo? Non sono più cattolici ma indubitabilmente sono ancora quello che erano, per la legge dell'invarianza: nulla si crea e nulla si distrugge.
Potremmo chiamarli i cittadini del "potere"? Chissà, forse.
Ora: qual è la differenza principale tra i cattolici (cittadini) del potere e i cattolici del sapere per quel che riguarda la domanda prima dell'articolo linkato? Direi che i cattolici del potere puntano (o fanno puntare) una pistola alla testa di chicchessia e gli dicono cosa può e cosa non si può fare, dire, pensare.
I cattolici del sapere invece dicono al potere che non può tenere la moglie del fratello anche se rischiano la testa (Mc 6 17-29). 
Quando però i cattolici del sapere si rivolgono a chi non sta al potere, anche se può accadere che dicano cose simili a quelle dei cattolici del potere, in ogni caso l'orizzonte è del tutto diverso. Il cattolico del sapere sa che il bene non vale nulla se non è fatto volontariamente. Non ha alcun senso obbligare nessuno a fare il bene: un bene fatto per forza non è nè bene nè male. È un bene e un male sprecato. L'unica cosa che conta è la libera convinzione.
Ciò posto il ragionamento della lettera di Eretica percorre due versanti, che potremmo esemplificare così:
Primo: io sono convinto che l'omosessualità sia una malattia, ma non vedo alcuna ragione per obbligare chicchessia a curarsi. Se un malato è contento di essere malato, buon per lui. Io pretendo, oggi e sempre, di dire come io vedo la vita e il mondo, e nessuno mi impedirà mai di dire che io ritengo che ci siano comportamenti sessuali sani e altri no, neppure a rischio della testa (mia).
Secondo: qualora una persona sana o malata che sia ritiene di fare cose che comporteranno sofferenze per altri, ritengo sia mio dovere dire che sono contrario e se posso impedirlo. Ovvio che non sono in grado di impedire ad Elton John di andare a farsi fare un figlio con il seme suo o di chissachì in un utero affittato. Ma se potessi lo farei. Perchè ritengo che sia una barbarie e che a soffrirne le conseguenze sarà il bambino e che Elton John non abbia alcun diritto di decidere della vita altrui.
Perciò il ragionare di libertà con Eretica può limitarsi a questo unico punto: poichè non c'è alcun dubbio che ciascuno di noi ha il dovere di non disinteressarsi, per quanto gli sia possibile, delle sofferenze altrui (I Care ripeteva don Milani), possiamo discutere del fatto che i bambini possano o meno soffrire se nascono (o non nascono) in un contesto o in un altro.
Senza alcuna barriera religiosa e/o ideologica, solo e soltanto nell'interesse dei bambini.

PS: io non ho paura di te ...

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