Pornoflauta
Chiudo la bottega e mi avvio al metrò:
dietro mi porto l'odore della colla e del legno e la nostalgia del
lavoro che amo e che accetto di sospendere solo provvisoriamente per
esaurimento fisico e mentale. Ho bisogno di andare a casa, mangiare,
lavarmi, riposare.
Lungo i binari umanità varia si ignora
reciprocamente, tesa all'unico obiettivo di prendere al volo il primo
treno, sciamare per le scale in fretta verso casa. I vagoni non sono
eccessivamente affollati ma non per tutti c'è posto a sedere così
sto in piedi. Tra i fortunati che sono seduti una ragazza quasi
bionda, slavata, senza reggiseno sotto la camicia leggera, il seno
piccolo, un po' cadente spinge grandi capezzoli che traspaiono
puntigliosi. Legge, distratta, indifferente a tutti, oltre, forse,
altéra, assente.
La guardo da lontano, estraneo a
estranea; eppure avrei tante cose da chiedere, da raccontare. Un
ciao, almeno, un nome, uno sguardo. Penso a quello che le chiederei e
penso che tra poco sarò a casa e non chiederò nulla a mia moglie.
Forse, se la serata è buona, come è andata la giornata, così,
formale. Mangerò la cena che mi avrà lasciato sul tavolo,
passandole vicino mentre è assorbita da qualche demenziale programma
televisivo.
Ci sono donne che trasudano sesso e non
sai perché: non è una donna bellissima, non è nulla di notevole,
non è alta, non ha un gran seno, non ha lunghe gambe. I pantaloni a
vita bassa lasciano intravvedere un vistoso tatuaggio sul fondo
schiena, illeggibile, una di quelle cose estremamente elaborate che
vogliono dire proprio quella cosa che solo tu non riesci a capire, tu
e qualche altro miliardo di persone, marziani ai suoi occhi.
Di fermata in fermata scivoliamo sotto
la città indifferente. Lei si alza e si avvicina all'uscita. Non è
proprio la mia fermata, ma la seguo. Non so perchè, la seguo e basta
senza un progetto, solo stanco per la giornata, rapito da una
curiosità e una voglia di vita che assurda non si rassegna.
Saliamo le scale, io qualche metro
dietro, ci infiliamo tra le strade, la gente, le bancarelle, tra
negozi tristi. Lei si ferma davanti ad un portone e infila le chiavi
nella toppa. Bene, gita finita, penso e mi faccio mentalmente il
percorso verso casa.
Ma lei si volta: «Vuoi
salire?»
mi domanda a bruciapelo. Come un colpo in testa: “una prostituta”,
penso deluso. Vorrei dire di no, che ho da fare, ma la seguo, seguo i
suoi occhi invitanti, il suo sorriso disarmante e bianchissimo.
Saliamo
scale in penombra: gli interni di tutti i palazzi nelle grandi città
si somigliano, a meno che non siano di altissima classe, sanno tutti
di miseria e precarietà e odori segnano ogni piano. Salendo i
gradini ad uno ad uno come li gustasse la prima volta e voltandosi di
tanto in tanto si presenta e mi chiede come mi chiamo. Lei è Flavia.
Bene, ricevuto. Io mi invento un nome lì per lì, in certi ambienti
non ci si presenta mai con la carta di identità, suppongo.
Al
quarto piano troviamo una porta aperta e una cascata di luce e voci e
musica in sottofondo, di quella new age che fa pensare ad una
infatuazione per l'oriente e l'autocoscienza buddista. Lei entra e
saluta questo e quello, dietro le vado io.
Oltre
l'ingresso c'è una grande stanza con un pavimento in legno, cuscini
e coperte sulle pareti, tanti colori con una preferenza per il
bordeaux e stracci arcobaleno. Un ragazzo magro e alto come una
giraffa è vestito con strisce di cuoio nero, farebbe pensare a quei
rituali di femdominismo sado-masochisti se non fosse che chiacchiera
tranquillamente con una ragazza acqua e sapone, con una camicetta
bianca chiusa fino al colletto di pizzo e una gonna a metà
polpaccio, tipo nonna sotto naftalina.
Comincio
a capire di essere caduto in una riunione di alternativi. Mi presenta
e mi lascia in un angolo perché deve sbrigare qualcosa. Mi guardo
attorno: sono tutti ragazzi con almeno dieci o anche venti anni meno
di me, a parte un tale con una barba da comunista che fa gli occhi
dolci ad una ragazzina con gli anni che potrebbe avere sua nipote e
un paio di signore dall'altro lato dai vestiti arcobaleno, truccate
pesanti per ingannare l'età, allegre come riviste patinate e odore
di profumi e cibi alternativi a metri di distanza. In tutto siamo
quindici persone, più o meno.
Flavia
torna in slip e si siede contro la finestra.
Come
ad un segnale convenuto si siedono tutti in cerchio attorno a lei. La
riunione si apre, dice che mi dà il benvenuto e spera che io possa
percorrere insieme a loro il mio percorso di liberazione e conoscenza
del mio corpo, per liberare le mie energie profonde e fondermi con le
radiazioni cosmiche che stanno compresse e represse in fondo ai miei
chakra. Poi descrive l'attività della serata: ci spoglieremo,
ciascuno secondo la propria sensibilità, e impareremo a darci
piacere sussurrandoci parole carine e scambiandoci la frutta da bocca
a bocca e spalmandoci oli profumati.
Comincio
a preoccuparmi perché la cosa rischia di durare a lungo e dovrò
giustificare a mia moglie il ritardo e anche l'odore dell'olio. Va
bene, ma quello posso evitarlo, mica sono obbligato. Eppoi domani
mattina devo tornare al lavoro e questi da come sono partiti mica è
chiaro fino a che ora vogliono tirare tardi.
Sbarbatelli
sballati e scoppiati, con tanto buon tempo, che non hanno bisogno di
lavorare o anzi al contrario ne avrebbero bisogno e si lamentano
perchè sono precari e il lavoro a loro nessuno lo dà. Come se una
persona dovesse stare ad aspettare che il lavoro glielo portassero a
casa, perché è quello che fanno, ci scommetto. Si lamentano e
aspettano, magari mandano curriculum via mail e aspettano e poi
dicono che no, è troppo lontano o troppo faticoso o troppo precario.
Il
barbone comunista si è spogliato completamente, gli è rimasto solo
un perizoma di tela bianca, la pancia cola come gelatina da ogni
lato. Anche le due anziane sono completamente nude, una ha un fiore
di plastica infilato nella vagina, l'altra due tondini di plastica
rossa sopra i capezzoli, modellati come capezzoli ma che dello stesso
colore del rossetto e danno all'insieme un chè di Star Trek. Il seno
di entrambe scende piatto fin quasi all'ombelico ma fa parte degli
esiti della terapia a cui si stanno sottoponendo recuperare la
fiducia di sé e l'orgoglio del proprio corpo così come è.
Nessuno
dei giovani invece si è spogliato del tutto, i ragazzi meno delle
ragazze, mi viene da osservare. Mi torna in mente qualche anno fa
quando avevo accompagnato mio figlio a fare sport: dopo ci eravamo
lavati nelle docce della palestra ed ero rimasto perplesso a vedere i
ragazzi sotto la doccia con i boxer. Mi era rimasta impressa quella
scena che mi faceva pensare alle leggende delle nobildonne cattoliche
strettamente osservanti che si facevano il bagno vestite nei secoli
andati. Non so se la leggenda delle nobildonne abbia un fondamento
storico, ma di certo sorprende che i figli dei figli dei fiori non
abbiano proseguito nel sentiero della liberazione sessuale ma siano
invece tornati indietro. Ci sono spesso indagini sull'età del primo
rapporto sessuale in continuo anticipo secondo i ricercatori, ma i
giovani che vedo io sono tutt'altro che liberati.
Anche
questi fanno fatica a lasciarsi andare, sembrano colpiti da un
qualche senso di colpa che io alla loro età non avevo. Quelli,
quando io avevo la loro età, erano i tempi di sesso, droga e rock'n
roll. Io dalla droga ero sempre stato lontano per una questione di
buon senso, la musica a tutto decibel mi irritava, il sesso era più
teoria che pratica. In ogni caso non mi facevo molti scrupoli, non
avevo difficoltà a spogliarmi, a farmi la doccia in comune per
quanti altri ragazze o ragazze ci fossero. Era lo spirito di quegli
anni ed è volato via come è giusto che lo spirito faccia lasciando
spazio però ad uno vento altro da quello che allora ci si aspettava.
Giovani
inibiti e pigri, senza il coraggio di lavorare e di trasgredire, che
si nascondono per masturbarsi e per copulare.
Nullafacenti
e inconcludenti era il giudizio principale. Inconcludenti sul lavoro
come nel sesso, sempre pronti a commiserarsi, incerti su ciò che
vogliono e ciò che non vogliono, alla perenne ricerca di qualcuno
che dica loro cosa devono fare, per avere la soddisfazione di non
farlo e di passare per ribelli con poca fatica.
Vengo
messo in coppia con una delle due anziane, quella dei falsi
capezzoli. Le devo mettere della panna sulla schiena e leccarla via
con la lingua. Vabbè, che schifezza: mi adeguo cercando uno
spiraglio per tagliare la corda.
Pian
piano i vari pezzi residui di vestiario se ne vanno, Flavia è del
tutto nuda e mostra come spalmarsi la panna e accarezzarsi con la
frutta sognando paradisi lontani da questo quarto piano
metropolitano.
Tutto
sommato questa follia ha un senso per questi giovani vanesi e
leggeri. Ma dovrebbero trovare ostacoli veri e vera voglia di
abbatterli, avventura alla quale mi sembra che queste esperienze non
li avvicinino per nulla. La vecchietta lecca a sua volta la panna che
mi ha spalmato addosso, avvicinandosi con un sorriso biricchino e
forzatamente disinibito all'inguine.
Mi
annoio, ho la testa piena di altri pensieri e vorrei dire a tutti
quanti che pensassero a guadagnarsi da mangiare con le loro mani
invece di perdere tempo.
Verso
le undici finalmente qualcuno comincia a rivestirsi. Flavia mi guarda
dolce e assente: se voglio tornare, tutti i mercoledì sera avrò
l'occasione di liberarmi delle mie scorze, di ritrovare il me stesso
rivoluzionario. Non mancherò. Mi accompagna nuda alla porta e mi
saluta con un buffetto sulla guancia.
L'aria
della notte è carica di idrocarburi e profumi vaghi. Le strade sono
sempre piene di auto rabbiose che vanno urgentemente al loro
traguardo così stringente, così importante da travolgere chiunque
si metta di traverso.
Domani
sarà un'altra giornata dura. Flavia leggerà ancora il suo romanzo
sul metrò, proseguirà nella sua campagna per la rivoluzione
sessuale, mentre io pagherò le mie ricevute bancarie e parlerò con
i fornitori e i clienti.
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