Neppure Undici Minuti
Neppure Undici Minuti (Femminicidio #21)
Fili, recordare quia recepisti bona in
vita tua,
et Lazarus similiter mala:
nunc autem hic consolatur,
tu vero cruciaris.
Luca 17,25
“Una mattina il ragazzino le si
avvicinò, chiedendole in prestito una penna. Maria non rispose,
assunse un'aria alquanto irritata per l'inatteso abbordaggio e
accelerò il passò. La penna era stata soltanto un pretesto per
parlarle, perché quando lui si era avvicinato, Maria ne aveva notata
una nella sua tasca.”*
Nello stesso istante, seguendo il suo
sguardo, anche lui aveva visto la penna e si era vergognato come un
ladro. Non aveva più il
coraggio per avvicinarla, ogni volta che la guardava rivedeva la penna
spuntare beffarda dal suo taschino e sentiva la terra sprofondargli
sotto i piedi. Aveva impiegato settimane per trovare il coraggio di
avvicinarla, gli sarebbero serviti anni per dimenticare.
Quando
seppe che la sua famiglia si sarebbe trasferita da quel paesotto
rurale del Brasile a Rio de Janeiro, si sentì sollevato:
non avrebbe più incontrato Maria.
Ma
la distanza non servì, anzi in ogni ragazza che incontrava nella
nuova scuola, in ogni manifesto della pubblicità, in ogni donna
rivedeva la ragazza dai capelli neri e la camminata superba.
La
città per Josè non era la città, ma la favela, una delle infinite
favelas che circondano le città del Brasile. Per andare a scuola
doveva fare il doppio della strada che faceva dal paese dove abitava
l'anno prima, ma lui ci andava determinato a studiare, a tirare fuori
la sua famiglia, sua madre, le sue sorelle, i suoi fratellini da quel
luogo. Determinato anche a ritrovare un giorno Maria, ad avvicinarla
con una scusa migliore, a parlarle e a dirle qualcosa di importante.
Dopo
il diploma trovò lavoro come cameriere in un ristorante della città.
Con il primo stipendio comprò un biglietto per l'autobus e tornò al
paese con la scusa di tornare a rivedere la casa dell'infanzia, fece
il giro dei vecchi compagni di scuola e raccolse informazioni. Maria
lavorava in un negozio di tessuti, sulla strada camionabile.
Nel
pomeriggio, quando il sole cominciava già a scendere e la calura era
sopportabile, vi entrò e cominciò a gironzolare tra gli scaffali.
C'erano tre commesse che lo seguivano con lo sguardo interrogativo,
ma non c'era Maria. Un uomo sulla quarantina, il proprietario del
negozio, gli si avvicinò chiedendogli se poteva essergli utile. Josè
arrossì come dieci anni prima con la sensazione che l'altro si fosse
accorto della penna che gli spuntava dalla giacca. Ma l'errore lo
aveva preparato, per cui disse che doveva comprare una certa quantità
di tessuto per sua madre che non poteva muoversi di casa, così
guardarono insieme diversi campioni e discussero dei colori e della
trama.
Ad
un certo punto, quasi distratto, disse che sua madre gli aveva detto
di chiedere alla commessa di nome Maria, perché lei conosceva i
gusti della madre e le avrebbe dato il tessuto giusto. Il volto
dell'uomo si oscurò all'improvviso e quasi con dolore disse che
Maria era partita per l'Europa. Poi, aggiunse come per liberarsi di
un peso altri particolari che Josè non avrebbe mai avuto il coraggio
di chiedere: uno svizzero le aveva offerto un lavoro come ballerina a
Ginevra, le aveva pagato il viaggio e un lauto anticipo. Proprio il
giorno prima lei era venuta al paese a chiedere il permesso ai suoi
genitori presentando l'impresario che garantiva per la sicurezza
della figlia.
Così
Josè pianse perché aveva perso per sempre Maria, ormai tra loro
c'era l'oceano e scoprì che il sole non era così caldo né il
carnevale così spensierato. Sull'autobus che lo riportava alla
favela però decise che non poteva rassegnarsi, che un oceano intero
non era sufficiente per condannarlo a morte mentre era ancora vivo e
scelse di partire.
Non
poteva prendere un aereo: neppure lavorando un anno intero avrebbe
raccolto i soldi per il biglietto, ma poteva imbarcarsi come mozzo su
qualche nave mercantile. Da Rio partivano in continuazione navi
cariche di caffè in container per l'Europa e la fortuna aiutò Josè
che trovò facilmente un ingaggio su una nave diretta in Italia. Era
una nave medio-piccola, con una ventina di uomini di equipaggio.
Forse era uno dei suoi ultimi viaggi perché le dimensioni delle navi
erano in rapido aumento.
L'arrivo
al porto di Genova, dopo una ventina di giorni, lo impressionò:
rispetto a quello che aveva visto in Brasile, aveva l'impressione di
una città di bambole, piccola, chiccosa, piena di bar dove la gente
si siede quieta e, lontano dal porto, anche silenziosa.
Lo
ringraziarono per aver fatto solo il viaggio di andata: il cargo che
viaggiava pieno dal Brasile all'Italia, tornava in Brasile mezzo
vuoto.
Avrebbe
voluto prendere un treno, ma con i soldi che aveva non poteva
permetterselo. Viaggiare a piedi e in autostop era faticoso, lungo e
incerto. Poteva capitare di percorrere centinaia di chilometri in un
giorno, e di restare fermi il giorno dopo. Ad ogni modo arrivò al
confine svizzero in una settimana, grazie al passaggio di un
camionista ucraino. Si intendevano a gesti, l'altro capì che voleva
arrivare a Ginevra e lo raccolse al parcheggio dell'autostrada.
Al
confine con la Svizzera il camion fu caricato su un treno e la
polizia di frontiera controllò i documenti. Josè non sapeva che per
entrare aveva bisogno di un contratto di lavoro e non capiva perché
i poliziotti discutessero tra loro guardando il suo passaporto. Il
camionista che gli aveva dato il passaggio intervenne e disse
qualcosa, Josè vide che uno dei poliziotti si allontanava con un
foglio in mano nel quale aveva scritto un numero, poi tornò e mise
un modulo stampato al computer dentro il passaporto di Josè.
In
seguito scoprì che il camionista aveva dato il numero di telefono di
un suo amico, il quale aveva assicurato che lo aveva chiamato lui per
farlo lavorare nel suo negozio. Sul foglio che gli avevano messo nel
passaporto era scritto che poteva stare in Svizzera sei mesi e il
nome e l'indirizzo di chi garantiva per lui.
Così
arrivò a Ginevra, tra due ali di montagne, raccolta attorno al lago.
Una città piena di banche, d'altra parte con il freddo che fa, la
gente qui si riscalda contando soldi, pensò Josè. L'amico ucraino
del camionista chiarì subito che lo aveva aiutato per fare un favore
all'amico, ma lui di lavoro non ne aveva e neppure un alloggio.
Finché non trovava di meglio, poteva mettere una brandina nel
magazzino, dove lui teneva gli scatoloni del materiale elettrico che
vendeva. Altro non poteva fare.
La
sera Josè andò subito al locale dove Maria ballava: sedette di
fronte all'ingresso, sui gradini di una chiesa e guardò la gente che
entrava nel locale con il cuore stretto dall'emozione. Prima
arrivarono una decina di uomini, tecnici del suono o con altri
incarichi, immaginò Josè. Poi cominciarono ad arrivare le
ballerine: le brasiliane spiccavano tra tutte per le loro gambe e il
portamento fiero, l'ottimismo che le spingeva comunque ad andare
avanti. Poi cominciarono ad arrivare gli spettatori, al braccio delle
mogli o delle fidanzate avvolte in calde pellicce. Josè era deluso,
si domandava se aveva sbagliato indirizzo, dove poteva essere in quel
momento Maria? Rimase al freddo, stropicciandosi le mani e battendo i
piedi fino all'orario di chiusura, quando ricominciò la processione
in ordine inverso. Le prime ad uscire furono le ragazze dell'est,
bionde e diafane come dee distratte e anemiche. Uscivano una per una,
raramente in gruppetti di due o tre per volta. Quando uscirono due
brasiliane, Josè si alzò e si gettò avanti preso dalla
disperazione: desculpe-me, onde está
Maria?
Le
due ragazze lo guardarono divertite: Maria si era licenziata proprio
quella mattina e sembrava che avesse fatto passare un brutto quarto
d'ora all'impresario. Josè non capì cosa fosse successo nei
particolari, l'unica cosa che fissò fu che Maria non lavorava più
in quel locale e non sapeva dove trovarla in quella città fredda e
grigia.
Tornò
alla sua brandina nel retrobottega dell'ucraino e si sentì solo e
sperduto in un paese straniero separato dalla sua famiglia da un mare
immenso e dalla sua amata dal destino cieco.
Nei
giorni successivi scoprì che in una parrocchia alcuni volontari
avevano allestito dei posti leto per i senzatetto, stanchi forse di
trovarli congelati al mattino, e che poteva acquistare dei pasti alla
mensa della beneficenza, venti pasti per dieci franchi, un prezzo
simbolico con il quale però doveva fare i conti. In tasca aveva
cento franchi e qualche spicciolo: un franco per notte per dormire,
facevano trenta franchi al mese. Dieci franchi ogni venti giorni per
mangiare, erano altri quindici franchi. Aveva due mesi di autonomia,
grosso modo.
Imparò
a mettere via due panini ad ogni pranzo: un panino per la cena,
l'altro per la colazione del giorno dopo. La domenica era un
problema, perchè la mensa era chiusa, per cui i due panini che
metteva in tasca al pranzo del sabato li faceva durare il doppio. Non
poteva permettersi di telefonare a casa e neppure un caffè caldo.
Poteva soltanto andare in biblioteca.
Alle
scuole superiori se la cavava bene, solo che si appassionava sempre a
cose futili, senza alcun risvolto pratico, e poi era monotematico.
Quando scopriva un argomento vi si gettava come se al mondo non ci
fosse altro, con la stessa passione con cui si era invaghito di
Maria. La biblioteca tutto sommato era un posto caldo, con alcune
precauzioni poteva restarci quasi tutto il giorno. Bastava che al
dormitorio della parrocchia si lavasse bene e i vestiti non
puzzassero come quelli di un mendicante o un senzatetto. Perchè era
chiaro che lui era un senzatetto, era chiaro perchè trasudava
disperazione, ma la cosa importante era che non puzzasse, perchè la
gente civile e gli svizzeri in particolare sono disposti a tollerare
molti difetti negli altri, ma non la puzza.
Così
cominciò a prendere confidenza con una sedia e un tavolo e uno
scaffale. Per prima cosa si dedicò alla lingua: là nessuno parlava
portoghese e si sentiva davvero un deficente a spiegarsi sempre a
gesti quasi fosse una scimmia. Prese una grammatica, un libro e partì
deciso.
All'ingresso
c'era una bibliotecaria, una signora secca e avvizzita, delusa dalla
vita o dall'amore, o forse solo una donna che non aveva mai avuto il
sospetto che la vita fosse da vivere e non solo da far passare. Lo
guardava con commiserazione e freddezza: il fallimento sociale non è
mai un caso ma anche un giudizio divino per cui la commiserazione non
può andare oltre una tiepida pietà.
In
ogni caso era professionale e precisa e sapeva sempre dove trovare i
libri che Josè cercava. Lui li leggeva lì, perchè non poteva farsi
una tessera non avendo una residenza e quindi non poteva prenderli a
prestito.
Nel
giro di una settimana leggeva con una certa scioltezza anche se,
probabilmente, la sua pronuncia era terribile. D'altronde non aveva
avuto alcuna occasione di esercitarsi, quel che sapeva lo aveva letto
nelle note di fonetica all'inizio della grammatica, ma una pronuncia
si impara dal vivo e lui di occasioni di parlare con qualcuno ne
aveva molto poche. Ad ogni modo le sei, otto ore che trascorreva al
tavolo lo trasportavano in un altro mondo, un mondo nel quale lui non
era un disperato ma un uomo che percorreva fiducioso la propria
strada, conoscendone bene il significato e il traguardo. A pranzo
staccava, andava in mensa, poi tornava con i due panini nella giacca
e restava fino alla chiusura. Era quasi sempre l'ultimo ad uscire
sotto lo sguardo gelido della bibliotecaria.
Un
giorno era immerso nella lettura di un poema medioevale in versi di
cui aveva scoperto che in quella biblioteca era conservato un
esemplare originale. Aveva provato a chiedere se poteva averlo ma la
bibliotecaria si era limitata a sorridere sarcastica. Gli aveva messo
tra le mani una copia e lui ci si era applicato entusiasta dall'idea
che lì vicino c'era un libro scritto prima che la caravelle
arrivassero nel suo paese. Era immerso nella lettura con un
dizionario di francese al fianco, quando udì una voce dall'ingresso
che lo fece sobbalzare. Da dieci anni inseguiva una donna con cui non
aveva mai parlato, che non aveva mai risposto al suo unico maldestro
tentativo di approccio, e di cui non conosceva la voce, ma quel suono
lo colpì come se venisse dalla profondità della terra. Forse era
l'accento del suo paese, forse era qualcosa d'altro, in ogni caso non
ebbe bisogno di alzare la testa: sapeva che lei era lì, l'aveva
ritrovata!
Tese
l'orecchio e gli sembrò di sentire la bibliotecaria rispondere con
un tono imbarazzato che in biblioteca libri di quel genere non ne
tenevano. Maria e la bibliotecaria discussero ancora un poco
bisbigliando, poi Maria prese un libro ed uscì. Josè aveva le
vertigini, rimise il Roman de la Rose nello scaffale, restituì il
dizionario, si mise in tasca il quadernetto degli appunti e uscì
nell'aria gelida.
Quella
notte non riuscì a dormire: il respiro pesante e i grugniti degli
altri ospiti erano come uno sfondo opaco, lontano, su cui un fuoco
violento ardeva e bruciava crepitando. La possibilità di poterla
rivedere, il modo di avvcinarla, le ipotesi su cosa facesse ancora a
Ginevra, l'immaginazione correva avanti e indietro rappresentandogli
sempre nuovi scenari. Gli passarono dinanzi anche le immagini di sua
madre e della sua famiglia, a cui da tempo non aveva pensato e
raccontava loro di come l'aveva ritrovata e come lei lo aveva
riconosciuto e come avevano deciso di tornare al sole del Brasile.
Ma
il giorno dopo lei non tornò alla biblioteca e neppure il giorno
dopo ancora. Lui leggeva come sempre tutto il giorno, ma la lettura
era discontinua, nervosa, perdeva facilmente il segno e il filo del
discorso.
Finalmente
la settimana seguente lei tornò a restituire il libro in prestito e
a prenderne un altro. Mentre la bibliotecaria andava a cercare il
libro chiesto da Maria, Josè restituì il suo, ripose il dizionario
e uscì in strada. Aspettò che Maria uscisse appoggiato al muro sul
lato opposto della strada. La vide attraversare il portone girevole
della biblioteca e mancò poco che cadesse per terra privo di sensi:
era elegantissima, una regina, l'abito nero e il cappotto
grigio-verde le davano slancio. Maria era alta quasi un metro e
novanta, gambe lunghissime e potenti, capelli neri inchiostro, viso
largo con una espressione di sfida ed ottimismo stampata sulle labbra
rosse, perfette.
Lei
guardò il suo lato della strada ma non lo vide, quasi fosse
trasparente, poi proseguì sul marciapiede verso il lago. Josè era
abituato a quello sguardo qui in Svizzera, così diverso dallo
sguardo dei brasiliani e delle brasiliane. Nel suo paese ogni persona
merita perlomeno uno sguardo, che sia di ammirazione o disprezzo, ma
solo qui in Svizzera aveva imparato cos'è l'invisibilità, essere
davanti ad una persona e quella che vede il panorama dietro di te
come se tu proprio non esistessi, con il volto impassibile come se
fossero soli nell'universo. Maria aveva imparato presto quello
sguardo, pianse dentro di sè Josè. Poi si mosse e la seguì.
Lei
camminava felice nella giornata piena di sole, una di quelle giornate
che là sono rare perle tra le nubi e le nebbie. La seguiva da dietro
e ogni sua curva, ogni suo passo lo feriva dentro come un uncino
aggrappato alla carne: non era una persona che camminava su di un
marciapiede, era La Donna, la sintesi e il concentrato di ciò che la
femminilità è nell'universo, quel modo di camminare con le anche
che ondeggiano come molle tra l'altalena delle gambe e quella delle
spalle.
Josè
la seguì per circa mezz'ora, finchè lei entrò in un bar e sparì
oltre le porte modello pub inglese, dalla struttura rossa su quadrati
di vetro spesso e opaco. Allora si guardò intorno cercando di capire
dov'era: realizzò di essere a qualche centinaio di metri dal lago,
tra questo e la stazione ferroviaria, lungo la via c'erano molti
locali di spettacoli o bar o club. Ad un angolo su un edificio rosa
si diceva che c'erano stanze private.
Il
locale dove Maria era entrata si chiamava Copacabana. Josè rimase
fuori a guardare le ragazze che entravano, fin verso le otto di sera.
Verso quell'ora cominciò ad entrare anche qualche uomo, ma lui
doveva affrettarsi perchè tra poco avrebbero chiuso le porte del
dormitorio.
Il
giorno dopo nel pomeriggio si presentò alle porte del locale. Il
proprietario era un uomo massiccio dai modi spicci e il volto umano,
vivo, di nome Milan. “Cerchi lavoro, forse?” gli sussurrò
squadrandolo dall'alto al basso. Josè aprì le mani come a dire che
era la cosa più logica
del mondo.
Così
iniziò a lavorare come uomo di fatica nel Copacabana, dal primo
pomeriggio alla sera. Quando le ragazze arrivavano gli ambienti
dovevano essere perfettamente puliti e lui fuori. Ma trovava sempre
qualcosa da sistemare, restava un angolo non pulito, un posacenere
non lucidato e Milan stupiva che ci mettesse tanto impegno e restasse
fuori orario e non capiva che tirava a far tardi perchè sperava di
incrociare Maria. In effetti lei era tra le ragazze che arrivavano
puntuali, ma come il giorno che l'aveva rivista, gli passava davanti
senza vederlo. Quindi se ne andava al dormitorio, consumava il suo
panino e passava la notte a sognarla, a sognare quel che lei faceva
con i clienti, a tormentarsi di non poterla prendere con sè, sentiva
la sua pelle calda scattarle sotto le dita, affondava nei suoi seni e
le sfiorava il collo in sogno.
Milan
lo pagava dieci franchi al giorno, tolti i quarantacinque-cinquanta
franchi che gli servivano per vivere, per raccogliere
trecentocinquanta franchi gli servivano almeno due mesi. Quella era
la cifra per un appuntamento con le ragazze del Copacabana, a cui si
doveva aggiungere il prezzo della stanza d'albergo e il taxi. E poi
comunque sperare che i tuoi soldi a loro non facciano schifo, perchè
le ragazze potevano anche rifiutare un cliente, come se i soldi non
avessero tutti lo stesso valore, e allora quando quello si avvicinava
e le chiedeva se poteva offrirle da bere, la ragazza poteva
ringraziare e dire che era impegnata. Quelle erano le regole di Milan
e quelle regole non si discutevano.
Così
la vita di Josè cambiò radicalmente facendo perno su quei pochi
istanti nei quali incrociava la donna per la quale aveva perduto la
ragione, con il cuore in subbuglio, il sangue alle tempie, la vista
annebbiata. Al mattino usciva dal dormitorio fresco di doccia e
andava in biblioteca mangiando il panino del giorno prima. Qui scoprì
la pittura, in particolare si immerse in due pittori opposti l'uno
all'altro e distanti come l'Europa e l'America Latina, ma uniti da un
qualche misterioso filo: Caravaggio e Cézanne. Dove il primo metteva
le tenebre, il secondo metteva la luce, dove il primo ripeteva con
precisione maniacale i particolari come fosse una fotografia, l'altro
tracciava un segno che si poteva interpretare volendo o anche no.
Leggeva di loro e scorreva le immagini sui libri d'arte fino a
mezzogiorno, con l'orecchio teso nella speranza di sentire la vose di
Maria che parlava con la biblotecaria, poi andava alla mensa e quindi
al lavoro. Lavorava attento a far bella figura con Milan e ansioso di
rivedere la ragazza.
Seguiva
l'evolvere della vita di lei intuendone lo sviluppo da quei rari
istanti: si rendeva conto di come stava fiorendo in bellezza e
sicurezza, di come maturasse come donna e si facesse ogni giorno più
desiderabile. Milan non si accorgeva di quello che lui provava: aveva
occhi, empatia ed intuito solo per le ragazze, con uno sguardo le
pesava e le inquadrava nelle sue categorie prefissate. Quelle frivole
e le professioniste, e tra le professioniste quelle fredde e quelle
appassionate, quelle meticolose e quelle pressapochiste, quelle che
erano professioniste di natura e quelle che soffocavano a fatica la
propria natura. Ma per Milan, Josè era trasparente, come un
soprammobile da spostare di qua o di là a seconda delle esigenze.
Anche i clienti venivano classificati dall'imprenditore in precise
categorie: gli occasionali e i clienti fissi, quelli generosi e gli
altri, quelli disperati e quelli esuberanti. Poi c'erano i clienti
speciali, quelli che Milan conosceva per nome e per i quali riservava
le ragazze migliori, quelle per le quali garantiva lui stesso.
Con
il tempo Josè estese l'orario serale senza che l'imprenditore se ne
accorgesse, da dietro il banco o pulendo un vetro, seguiva Maria
finchè usciva con il primo cliente. Allora anche lui se ne andava
con la testa penzoloni e le mani affondate nelle tasche.
Si
rendeva conto di quanto folle fosse il proprio amore e altresì che
sarebbe stato assai più
folle rimettersi sulla strada e tornare a casa. Avrebbe potuto
trovare un'altra donna che le facesse dimenticare Maria? Forse,
perchè no? Ma ogni notte il vento freddo della sera gli avrebbe
portato il profumo del paradiso e gli avrebbe ricordato che gli era
così vicino da poterlo toccare con un dito: come l'avrebbe
sopportato? Avrebbe dunque passato la vita spiandola tra le braccia
di altri uomini? L'avrebbe vista invecchiare, sfiorire, passare di
livello come passano di livello le prostitute, andando a lavorare in
un locale un poco oltre dove il prezzo era di duecento franchi, e poi
oltre ancora e l'avrebbe raccolta infine come la maschera di se
stessa? Al momento non aveva risposte, i giorni gli sfuggivano via
veloci tra le letture del mattino e quei pochi istanti la sera.
Maria
nel frattempo si faceva un nome ed ebbe il suo primo cliente speciale
che la portò via una sera e la tenne solo per sè tutta la notte.
Quella notte lui si girò nel letto intriso di disinfettante,
lamentandosi come altri ubriaconi del dormitorio e avrebbe fatto
qualunque cosa per sfuggire all'angoscia che lo teneva: si sarebbe
masturbato, avrebbe preso con la forza la prima donna che avesse
incontrato, si sarebbe gettato nel lago ghiacciato. Emerse nella luce
del mattino come si torna con gratitudine alla realtà dopo una notte
di incubi e gustò, quella mattina, in modo particolarmente vivo i
dipinti e le facce del Caravaggio, con i loro urli sospesi a metà,
il loro cuore impaziente di scoppiare, di chiedere misericordia, di
donarsi infine.
Scoprì
in seguito che anche il cliente speciale di Maria era un pittore e
andò a cercare i suoi quadri e i suoi cataloghi: gli faceva pena, i
suoi ritratti erano senza spessore, quasi fumetti senza profondità.
Nel municipio di Ginevra era esposta una sua tela molto lunga, alta
poco meno di un metro, dove si riconoscevano personaggi famosi
viventi, premi nobel, scrittori, uomini politici. Una donna vicino ad
una finestra attirò la sua attenzione: era Maria, si! A parte gli
occhi tuttavia non vi era altro di vivo, non vi era la forza sacra
che sconvolgeva Josè ogni volta che la avvicinava. Era una bella
donna, con una luce nello sguardo, forse un sorriso biricchino, ma
nulla altro.
Odiava
quel pittore, giovane e famoso, con i capelli lunghi che lasciava
crescere per finta trascuratezza e che guadagnava con un solo quadro
quanto lui non avrebbe guadagnato in tutta la vita, quel giovane
schizzinoso che aveva avuto tutto e si dava arie di aver sofferto
chissà quali dolori. Lo odiava perchè poteva stringere Maria tra le
braccia quanto voleva, perchè lei gli sorrideva e usciva con lui,
perchè lei lo guardava e lo vedeva come un uomo che merita rispetto.
Josè
si chiudeva nel gabinetto della biblioteca per contare i soldi che
aveva messo da parte e che nascondeva in un risvolto dei pantalori e
disperava di poter mai arrivare ad averne abbastanza per passare
un'ora con Maria. Quella mattina la bibliotecaria vedendo che
occupava troppo il bagno venne a bussare alla porta: forse pensava
che si stesse masturando e quando uscì rimase a fissarlo a lungo.
Lui fece finta di nulla, si scusò e tornò a Caravaggio. Gli passò
allora per la mente che nella città delle banche lui forse era
l'unico a rimpiangere di non poter toccare con le mani il manoscritto
originale del Roman de la Rose e di non poter abbracciare
Michelangelo Merisi o battere sulle spalle un incoraggiamento a Paul
Cézanne. Era l'unico stupido, avrebbe fatto meglio a studiare
qualcosa di utile e produttivo, qualcosa che gli permettesse di
guadagnare. Avrebbe fatto meglio a mettere gli occhi su una brava
ragazza a portata di mano invece di restare fissato su di un sogno
impossibile.
Una
sera Maria giunse al lavoro un po' in ritardo, ma aveva una luce
negli occhi e una gioia sulle labbra che Josè rimase senza fiato. La
vide parlare con Milan e poi la vide uscire: allora capì tutto in un
attimo, avrebbe voluto correrle dietro e fermarla, chiederle come
avesse fatto a passargli davanti per tanto tempo senza riconoscerlo,
dirle che se avesse avuto una penna avrebbe potuto dargliela anche se
lui ne aveva già una nella tasca, immaginò che avrebbe pasato la
notte con quel pittore presuntuoso e temette che non l'avrebbe più
vista. Ma non fece in tempo: arrivò un taxi, lei salì e scomparve
nella nebbia.
Il
mattino dopo Josè si alzò come al solito e si infilò nella doccia
del dormitorio. Era uno dei pochi o forse l'unico che faceva la
doccia tutte le mattine per cui i locali erano quasi deserti. Le
docce non avevano chiavi per evitare che qualche sbandato si
chiudesse dentro e facesse qualche pazzia, o si suicidasse o facesse
un colpo e la porta chiusa impedisse i soccorsi immediati.
Perciò
il gestore del dormitorio potè aprirla mentre lui aveva gli occhi
chiusi per via del sapone. Percepì la presenza e subito dopo la
mano di lui che gli sfiorava il sesso: aprì gli occhi di scatto e se
lo vide davanti nella sua rotonda soddisfazione e sicurezza: si erano
passati di fianco decine e decine di volte, scambiando poche parole e
senza che mai avesse sospettato un interesse nei propri riguardi. Il
gestore gli prese il pene in mano e gli sussurrò che l'avrebbe
pagato bene.
Con
uno scatto si liberò della presa, usci veloce dalla doccia e si
vestì. Qualche minuto dopo camminava verso la bilblioteca, scuro in
volto: ecco un problema nuovo, forse non a caso, dove avrebbe dormito
quella era? Dopo quel che era successo non avrebbe avuto il coraggio
di guardare in faccia quell'uomo. Forse anche Maria non sarebbe
tornata al Copacabana e allora perchè lui avrebbe dovuto restare a
Ginevra?
Entrò
in biblioteca come si fanno a volte le cose automaticamente senza
riflettere. La bibliotecaria lo guardò a lungo e lui si rese conto
che nella fretta non si era tolto bene il sapone dai capelli e non si
era pettinato e non tutti i bottoni della camicia erano chiusi. Prima
di andare al suo tavolo passò dal bagno a darsi una sistemata.
Quella mattina però non riusciva a leggere, ad entrare nelle storie,
per cui lasciò il libro e uscì nell'aria fresca che già sapeva di
primavera.
Sedette
su una panchina e rimase a guardare la gente indaffarata che entrava
ed usciva dagli uffici e dalle banche. Verso le dieci vide uscire
anche la biblotecaria che andava a prendere un caffè, fece qualche
passo, lo vide sulla panchina, si girò e tornò indietro. Qualche
minuto dopo un'auto della polizia si fermava davanti a lui e due
poliziotti lo invitarono a seguirlo alla gendarmeria.
Si
stupì del loro interesse: per mesi aveva vissuto in quella città
grigia ignorato da tutti. Ma lo stupore durò finchè gli chiesero
per quale ragione molestasse la dipendente della biblioteca comunale.
Lui quasi si mise a ridere e scorse negli occhi del poliziotto che
aveva di fronte un guizzo di complicità, interrotto improvvisamente
dalle parole acute e isteriche di una poliziotta in piedi dietro il
collega alla scrivania: cosa c'è da ridere signor Josè Becerra?
Pensa lei di avere il diritto di pedinare per mesi una qualunque
donna per un qualunque motivo?
Josè
non rispose, non ne aveva voglia e gli sembrava l'accusa tanto
assurda da non meritare risposta e comunque il mondo per lui aveva
ormai ben poco interesse. Gli chiesero i documenti e scoprirono che
il permesso di soggiorno era scaduto. Bene, problema risolto. Alla
fine in qualunque paese gli uomini sono sempre della stessa pasta e
la strada che preferiscono è la meno faticosa. Istruire un processo
per molestie sessuali raccogliendo prove e testimonianze era
complesso e faticoso se non incerto nel risultato. Estradarlo per la
scadenza del permesso era immediato, facile veloce.
Apprezzò
l'efficenza elvetica quando due ore dopo lo imbarcarono su un aereo
diretto a Parigi, da dove avrebbe preso una coincidenza per il
Brasile. Lo accompagnavano due agenti e furono così gentili da non
mettergli le manette. Sull'aereo fu sorpreso di veder salire anche il
pittore, il cliente speciale di Maria, con quell'aria idiota,
superficiale, soddisfatta. A Parigi furono ospitati nella stanza
della gendarmeria fino alla coincidenza. Dalla finestra lo sguardo
spaziava verso l'orizzonte e la grande sala d'attesa.
Da
quella finestra vide Maria passare guardandosi intorno per decidere
la direzione da prendere e il pittore avvicinarsi a lei con un mazzo
di fiori e gli occhi di lei illuminarsi come il sole che passa
attraverso le nubi e li vide baciarsi come due ragazzini.
Un
giorno il poverò morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.
Poi
morì anche il ricco e fu sepolto.
Finito
negli inferi tra i tormenti, alzando gli occhi vide da lontano Abramo
e Lazzaro che era com lui. Allora gridò: Padre Abramo, abbi pietà
di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a
bagnarmi la lingua, perchè soffro terribilmente in questa fiamma.
Ma
Abramo rispose: Figlio, ricordati che in vita hai ricevuto i tuoi
beni e parimenti Lazzaro i suoi mali. Ora invece lui è consolato e
tu tormentato.
Luca
16, 22-25
*
Paulo Coelho, Undici Minuti, pag.16
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