Caro Bergoglio, caro Grassi
Caro papa Bergoglio, caro presidente Grassi
ho appena terminato di leggere la ripubblicazione dell'articolo di Sua Santità papa Francesco "Guarire dalla Corruzione", pubblicato la prima volta nel 2005, quando Ella era Arcivescovo di Buenos Aires, e la post fazione del presidente del senato Pietro Grasso allo stesso articolo.
È evidente che l'on.Grasso ha scritto la post fazione prima di leggere l'articolo del papa e non ha colto il significato del termine corruzione come usato dal papa.
Laddove per il papa la corruzione è anzitutto corruzione della speranza, per il presidente è ciò che nei media e nella discussione politica si intende immediatamente: sottrarre agli altri per sé e per la propria famiglia (pag.56). Di conseguenza l'onorevole ritiene fondamentale una norma che punisca il voto di scambio "di qualunque .. utilità ...quale corrispettivo della promessa di voto" (pag.57).
Credo che in questa preoccupazione stia tutta l'inconsistenza intellettuale dei nostri politici in genere, e dell'onorevole Grasso in particolare.
Il voto è SEMPRE un voto di scambio. I cittadini votano un partito o una persona perché attendono per sé o per la propria famiglia un bene o una utilità. Il punto non è negare la liceità di questo scambio, ma renderla trasparente e vincolante. Il politico che promette posti di lavoro o sviluppo economico e non mantiene quanto promette, dovrebbe in qualche maniera risponderne legalmente.
La dinamica politica non può essere altro che un rapporto tra chi vota perché attende determinati benefici e chi è eletto perché quei benefici deve garantire.
L'opinione che detti benefici siano leciti se sono anonimi e generali e invece illeciti se i loro destinatari sono determinati, è chiaramente inconsistente. Se i benefici non beneficiano qualcuno in particolare, non beneficiano nessuno e non c'è alcuna ragione per la quale i benefici per me e la mia famiglia valgano meno dei benefici a chiunque altro. Il punto non è tanto chi ne beneficia, ma se sono trasparenti, pubblici, noti. La dinamica democratica prevede che governi chi raccoglie il maggior numero di voti, i quali sono appunto determinati dalla speranza di benefici determinati e non generici.
Molta disillusione nei confronti della politica dipende dal fatto che il voto di scambio è estremamente nebuloso, incerto, oscuro e oscurato. Chi vota attirato dalla promessa di diminuire la pressione fiscale, si vede aumentare le tasse. Chi vota per l'aumento dell'occupazione, perde il lavoro. Ma chi è eletto lucra comunque grassi benefizi mantenendo il contrario di ciò che promise.
Ogni scambio presume un contratto e dovrebbe essere chiaro che chi intasca benefici, se non mantiene le promesse che tali benefici gli hanno garantito, dovrebbe essere obbligato a restituirli. O a gustare le patrie galere. Va da sé.
Acquisito pertanto il dato che la post fazione del presidente nulla ha colto dell'articolo del papa, vorrei rivolgermi a Bergoglio per sollecitare un approfondimento delle manifestazioni di quella corruzione che ha descritto e stigmatizzato.
Credo che la manifestazione più negativa e velenosa della corruzione, quella più diffusa a livello di massa, non sia tanto quella attiva di anestetizzare la coscienza nei confronti di prassi illecite di cui beneficia, ma quella passiva di non sentirsi chiamati in causa dall'ingiustizia di cui si è testimoni.
È vero: la gente "non vuole altri problemi" (pg 38) e considera questo chiamarsi fuori, una virtù o addirittura la virtù.
La brava gente si occupa della propria famiglia, guadagna onestamente il proprio pane, non accetta bustarelle, non si fa corrompere, non pretende e non paga tangenti. Ma quando assiste a prassi inadeguate, non si ritiene tenuta ad intervenire. "Non è compito mio", io sono tenuto ad applicare le leggi, a fare il mio lavoro. Altri hanno fatto queste leggi, loro ne rispondano. Ma coloro che hanno fatto le leggi, spesso e volentieri non ne hanno mai visto l'applicazione concreta, non sanno cosa esse significhino giorno per giorno nella vita dei cittadini. Perciò alla fine nessuno è responsabile.
La brava gente si contenta del proprio salario. Ma non si domanda se ci sia un rapporto onesto tra il salario che prende e il lavoro che rende. Quelle pratiche smaltite con coscienza e scrupolo, con ordine e puntigliosità, producono qualcosa di paragonabile, di utile tanto quanto ciò che quello stipendio consente di acquistare? Quanta economia oggi non produce nulla salvo vento, giri di giostra, carta (magari virtuale) destinata alla polvere degli archivi e nonostante la propria inutilità è ben remunerata, certamente molto meglio remunerata dell'economia che produce bene e servizi reali.
L'anestesia delle coscienze fa giurisprudenza (nota 20): non si cerca di applicare un principio giuridico razionale e condiviso, ma di istituire una prassi che consenta di interpretare le leggi come fa comodo alla maggioranza di coloro che le applicano, per opprimere e vessare chi sta dall'altra parte mantenendo in pace la propria coscienza. Senza neppure la coscienza o la volontà di opprimere e vessare, anzi talvolta addirittura con moti di sincera compartecipazione e compassione per la sorte degli sventurati.
Le coscienze sono corrotte non solo quando traggono vantaggi tangibili e giustificano la prassi che tali vantaggi consentono, ma anche quando garantiscono l'unico risibile vantaggio di non avere problemi, di starsene tranquilli alla finestra a guardare come va il mondo, soddisfatte dello stato in cui si trovano (pag.38), dell'immanenza di un mondo pago di sé, senza preoccupazioni di un giudizio altro.
ho appena terminato di leggere la ripubblicazione dell'articolo di Sua Santità papa Francesco "Guarire dalla Corruzione", pubblicato la prima volta nel 2005, quando Ella era Arcivescovo di Buenos Aires, e la post fazione del presidente del senato Pietro Grasso allo stesso articolo.
È evidente che l'on.Grasso ha scritto la post fazione prima di leggere l'articolo del papa e non ha colto il significato del termine corruzione come usato dal papa.
Laddove per il papa la corruzione è anzitutto corruzione della speranza, per il presidente è ciò che nei media e nella discussione politica si intende immediatamente: sottrarre agli altri per sé e per la propria famiglia (pag.56). Di conseguenza l'onorevole ritiene fondamentale una norma che punisca il voto di scambio "di qualunque .. utilità ...quale corrispettivo della promessa di voto" (pag.57).
Credo che in questa preoccupazione stia tutta l'inconsistenza intellettuale dei nostri politici in genere, e dell'onorevole Grasso in particolare.
Il voto è SEMPRE un voto di scambio. I cittadini votano un partito o una persona perché attendono per sé o per la propria famiglia un bene o una utilità. Il punto non è negare la liceità di questo scambio, ma renderla trasparente e vincolante. Il politico che promette posti di lavoro o sviluppo economico e non mantiene quanto promette, dovrebbe in qualche maniera risponderne legalmente.
La dinamica politica non può essere altro che un rapporto tra chi vota perché attende determinati benefici e chi è eletto perché quei benefici deve garantire.
L'opinione che detti benefici siano leciti se sono anonimi e generali e invece illeciti se i loro destinatari sono determinati, è chiaramente inconsistente. Se i benefici non beneficiano qualcuno in particolare, non beneficiano nessuno e non c'è alcuna ragione per la quale i benefici per me e la mia famiglia valgano meno dei benefici a chiunque altro. Il punto non è tanto chi ne beneficia, ma se sono trasparenti, pubblici, noti. La dinamica democratica prevede che governi chi raccoglie il maggior numero di voti, i quali sono appunto determinati dalla speranza di benefici determinati e non generici.
Molta disillusione nei confronti della politica dipende dal fatto che il voto di scambio è estremamente nebuloso, incerto, oscuro e oscurato. Chi vota attirato dalla promessa di diminuire la pressione fiscale, si vede aumentare le tasse. Chi vota per l'aumento dell'occupazione, perde il lavoro. Ma chi è eletto lucra comunque grassi benefizi mantenendo il contrario di ciò che promise.
Ogni scambio presume un contratto e dovrebbe essere chiaro che chi intasca benefici, se non mantiene le promesse che tali benefici gli hanno garantito, dovrebbe essere obbligato a restituirli. O a gustare le patrie galere. Va da sé.
Acquisito pertanto il dato che la post fazione del presidente nulla ha colto dell'articolo del papa, vorrei rivolgermi a Bergoglio per sollecitare un approfondimento delle manifestazioni di quella corruzione che ha descritto e stigmatizzato.
Credo che la manifestazione più negativa e velenosa della corruzione, quella più diffusa a livello di massa, non sia tanto quella attiva di anestetizzare la coscienza nei confronti di prassi illecite di cui beneficia, ma quella passiva di non sentirsi chiamati in causa dall'ingiustizia di cui si è testimoni.
È vero: la gente "non vuole altri problemi" (pg 38) e considera questo chiamarsi fuori, una virtù o addirittura la virtù.
La brava gente si occupa della propria famiglia, guadagna onestamente il proprio pane, non accetta bustarelle, non si fa corrompere, non pretende e non paga tangenti. Ma quando assiste a prassi inadeguate, non si ritiene tenuta ad intervenire. "Non è compito mio", io sono tenuto ad applicare le leggi, a fare il mio lavoro. Altri hanno fatto queste leggi, loro ne rispondano. Ma coloro che hanno fatto le leggi, spesso e volentieri non ne hanno mai visto l'applicazione concreta, non sanno cosa esse significhino giorno per giorno nella vita dei cittadini. Perciò alla fine nessuno è responsabile.
La brava gente si contenta del proprio salario. Ma non si domanda se ci sia un rapporto onesto tra il salario che prende e il lavoro che rende. Quelle pratiche smaltite con coscienza e scrupolo, con ordine e puntigliosità, producono qualcosa di paragonabile, di utile tanto quanto ciò che quello stipendio consente di acquistare? Quanta economia oggi non produce nulla salvo vento, giri di giostra, carta (magari virtuale) destinata alla polvere degli archivi e nonostante la propria inutilità è ben remunerata, certamente molto meglio remunerata dell'economia che produce bene e servizi reali.
L'anestesia delle coscienze fa giurisprudenza (nota 20): non si cerca di applicare un principio giuridico razionale e condiviso, ma di istituire una prassi che consenta di interpretare le leggi come fa comodo alla maggioranza di coloro che le applicano, per opprimere e vessare chi sta dall'altra parte mantenendo in pace la propria coscienza. Senza neppure la coscienza o la volontà di opprimere e vessare, anzi talvolta addirittura con moti di sincera compartecipazione e compassione per la sorte degli sventurati.
Le coscienze sono corrotte non solo quando traggono vantaggi tangibili e giustificano la prassi che tali vantaggi consentono, ma anche quando garantiscono l'unico risibile vantaggio di non avere problemi, di starsene tranquilli alla finestra a guardare come va il mondo, soddisfatte dello stato in cui si trovano (pag.38), dell'immanenza di un mondo pago di sé, senza preoccupazioni di un giudizio altro.
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