Il buco 2
Il
buco 2
«Allora,
vuole che parliamo di femminismo?»
La
sfida di Luisella mi giunge dal buio, sento il suo respiro, il suo
profumo, il calore del suo corpo. Immagino il seno perfetto come le
generose scollature l'hanno mostrato. Vorrei allungare la mano e
stringerlo, sentirlo, accarezzarlo, leccarlo. Mi fermo a metà,
intimorito da cosa può pensare o dire.
«Quando
ero giovane avevo diverse amiche femministe, andavamo molto
d'accordo. Più con loro che con le ragazze della parrocchia,
nonostante io fossi un cattolico militante a tempo pieno.»
«Davvero?
Non lo avrei mai immaginato.»
«No,
che lei avesse avuto amiche femministe. E come è andata, cosa
facevate, di cosa discutevate?»
«Erano
delle ragazze in gamba, si erano prese un appartamento in un
quartiere malfamato, una specie di comune. Andavo a trovarle,
mangiavo la pastasciutta da loro. Una volta a tavola c'era una
giovane ragazza, una prostituta con cui avevano fatto amicizia. Io
prima di iniziare a mangiare mi feci il segno della croce,
automaticamente, senza pensare. In seguito mi dissero che la
ragazzina si era preoccupata di avermi offeso perchè aveva
bestemmiato. Poi andavamo in giro in autostop, erano altri tempi.
C'erano comunità agricole, artigiane, di autoproduzione, dove le
nostre vite e i nostri interessi si intersecavano.»
«E
dopo, vi siete persi di vista?»
«Si.
So che una di loro è caduta in depressione e non ne è più uscita
dopo che il suo compagno è morto in montagna cadendo da una parete.
Ma in genere quel mondo è imploso, mi pare. Chi oggi parla di
femminismo intende qualcosa che non ha più nulla a che fare con
quello della mia giovinezza. Con il nudismo esibito, la liberazione
sessuale, i figli dei fiori, l'antimilitarismo. Noi cattolici
radicali e le femministe, la sinistra sociale e militante, avevamo
tanti punti in comune e anche tante distanze incolmabili. Con il
femminismo di oggi sono rimaste solo le distanze.»
Luisella
tace. Parlando sono scivolato in un altro mondo, quel mondo nel quale
la vita era solo promessa, attesa, in cui il futuro era tanto e il
passato leggero.
«È
vero» riprende lei. «Hanno lo stesso nome ma sono cose diverse.
Oggi si vuole far passare per femminismo uno degli strumenti del
controllo sociale, una delle forme con cui il potere si perpetua.»
«Strano
che su questo siamo d'accordo» le faccio eco. Mi rendo conto che è
un linguaggio che conosco, come se tornassi in un paese che ho girato
in lungo e in largo, come se risentissi dopo tanti anni la lingua
della mia infanzia.
«Il
femminismo è anzitutto decostruzione degli stereotipi di genere,
quelli che ti vogliono imporre da quando nasci perchè tu sia
funzionale al tuo ruolo sociale e possa garantire il mantenimento
delle relazioni di sfruttamento e dominio. Una coscienza
autenticamente femmista inizia dal riconoscimento del diritto
all'autodeterminazione anche riguardo al proprio ruolo di genere.
Perchè non sta scritto da nessuna parte che la donna debba avere
ruoli di cura e assistenza e l'uomo di produzione e di potere. Perchè
ciascuno ha il diritto di scegliere quale ruolo vuole avere e quale
significato vuole attribuire alla propria vita. Oggi al contrario si
potrebbe parlare di sindacalismo femminile, di un linguaggio
funzionale al riconoscimento di chi appartiene ai gruppi di potere
illuminati e di esclusione degli altri. Il linguaggio femminista non
è più femminismo, è una forma di potere e dominio.»
La
sua voce calda mi avvolge e mi accarezza nel profondo, sembra che
stia tenendo un comizio ma il suono delle parole non è quello di un
comizio ma di una dichiarazione d'amore. Come se dicesse: ti dico
queste cose perchè so che mi capisci, che sei dei nostri.
Mi
sento a disagio, combattuto dal desiderio di baciarla e dalla
necessità di rispettare le convenienze. Accendo il cellulare e
guardo l'ora. Sono le 18:58, siamo bloccati qui al buio già da
venti minuti. Strano che non si sentano voci né rumori, strano che
ancora non ci siano segni che stanno cercando di tirarci fuori.
«Cosa
staranno facendo? Perchè non si spicciano?», si domanda lei. Non so
cosa risponderle. Restiamo di nuovo al buio, così riprendo il filo
del ragionamento. «È vero, ci sono molte cose sulle quali ci
possiamo trovare d'accordo. È l'impianto base tuttavia che non
potremo mai condividere.»
«Se
partiamo da quello su cui siamo d'accordo, forse è meglio, forse le
differenze sono meno differenti quando ci si capisce e ci si stima di
più. Non credi?»
Sobbalzo
colpito sul vivo: è passata al tu, con la massima tranquillità dopo
settimane che ci diamo del lei.
«Dobbiamo
decostruire l'immaginario collettivo, riconoscere le catene con le
quali noi stessi ci imprigioniamo e ci opprimiamo a vicenda, dobbiamo
comprendere con quali meccanismi noi stessi forniamo al potere le
catene con cui ci lega.»
«Bel
concetto, di chi è? Di Marx?» faccio io.
«No,
di Etienne de la Boetie» risponde lei asciutta.
Che
figura di cacca! E chi sarà mai costui? mai sentito nominare.
Difficile parlare con una così, chissà se a letto mi farebbe
sentire comunque inferiore.
«Il
nostro nemico non sono gli uomini» continua lei. «Il nostro nemico
è il potere, il patriarcato che disegna il ruolo delle donne e degli
uomini secondo schemi rigidi, quegli stessi schemi con i quali
Mussolini destinava le donne alla riproduzione e al focolare e gli
uomini al lavoro e alla guerra.»
«Quindi
tu proponi che ogni essere umano scelga se vuole essere maschio o
femmina, se partorire o inseminare?»
«Perchè
no? E in ogni caso non accetto che siano altri a scegliere per me, al
mio posto, in mio nome e dichiarando di fare il mio bene.»
«Fino
ad un certo unto ti seguo, Luisella, oltre no. Noi nasciamo maschio e
femmina, ci sono differenze sessuali che non possiamo scegliere noi.
Dobbiamo riconoscerle e negarle ci rende infelici.»
«Si
tratta solo di costruzioni culturali. Fai crescere un maschio con le
bambole e una femmina con i fucili e vedrai che da grandi faranno
scelte diverse.»
Non
le rispondo. I nostri cuori che battono nel buio, noi soli
nell'universo siamo già abbastanza. Non avrei quel turgore nei
pantaloni se respirassi il profumo di Luigi o Antonio. Luisella è
una donna a prescindere dall'educazione che ha ricevuto, ragiono tra
me, e io vorrei scoparla a prescindere dal fatto che abbia giocato a
bambole o a soldati.
La
sento spazientirsi, accende il tablet e controlla l'ora. Sono le
19:30.
«Avevi
impegni questa sera?», cerco di essere ironico.
«Preparare
la cena per mia figlia e il mio compagno, dovevo passare dal
supermercato, ma ormai è tardi.»
Non
c'è nulla di più deprimente, quando una donna ti attrae
sessualmente, di un qualsiasi riferimento al suo compagno o marito o
fidanzato che sia. Tutto sommato però vi intravvedo una via d'uscita
nella quale mi affretto ad infilarmi, per sottrarmi al turbamento
della sua vicinanza.
«Hai
un compagno? Credevo che le femministe fossero tutte lesbiche»,
scherzo.
«Mi
hai appena raccontato di quella tua amica che è caduta in
depressione dopo la morte del suo compagno: perchè dici che siamo
tutte lesbiche? Sai bene che il lesbismo per noi è una libera scelta
e che combattiamo l'omofobia a prescindere dal nostro personale
orientamento. Si ho un compagno, andiamo molto d'accordo.»
«Condivide
la tua visione del mondo? Chi comanda in casa?»
«Certo
che la condivide e in casa non c'è nessun bisogno di qualcuno che
comandi: le scelte si condividono con libertà e intelligenza. Se una
persona non è abbastanza intelligente per arrivare ad una soluzione
condivisa, è meglio lasciarsi, non credi? E tu sei sposato?»
«Più
o meno. Ci siamo separati dieci anni fa.»
«Separati?
Non è una scelta molto “cattolica”, o sbaglio? Non siete quelli
che votarono contro la legge sul divorzio? Adesso però siete i primi
a divorziare. È più facile trovare comunisti che vivono insieme una
vita, magari senza sposarsi, che cattolici.»
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