Il buco nero
Venerdì, ultimo giorno di lavoro per
Luisella. Ho un magone che neanche quando litigavo con la morosa. La
guardo e cerco di trovare le parole per dirle che non le rinnoviamo
il contratto. Glielo dirò lunedì. Oggi non mi va. Le lascio fare il
fine settimana tranquilla.
L'happening di ieri è stato favoloso.
In un mondo normale le darei un premio, la passerei di livello.
Invece la liquido. La liquidiamo. Se non lo facessi destabilizzerei
tutta l'azienda. Va così.
La guardo muoversi per l'ufficio come
una tigre nella savana: una tigre sazia e sicura, che passeggia
fiera, non una tigre in cerca di preda. I suoi occhi verdemarino,
freddi, crudeli, dolci, misteriosi.
È tornata con la massima naturalezza
all'abbigliamento casual-femminista.
Riordina la scrivania e si avvia
all'ascensore, la seguo e mentre sto per entrare colgo lo sguardo di Dorotea. Le strizzo l'occhio e mi infilo dentro mentre Luisella
preme il tasto del piano terra.
«Bella
impresa ieri. Davvero»
Le dico con le spalle alla parete dell'ascensore, di fianco a lei con
lo sguardo alla porta.
«Mi
sono impegnata nei limiti
delle mie possibilità»
risponde
lei.
Taciamo,
un po' di imbarazzo. Il rumore delle corde che si avvolgono, lo
scatto quando si superano i piani.
«Impegni
per il fine settimana?»
domando senza enfasi.
«Il
mio secondo lavoro, faccio la cameriera».
Già, me l'avevano riferito. Ma dove le trova le forze questa donna
per fare tutto quello che fa? mi domando.
All'improvviso
un rumore lontano, come un grande sacco di stracci che cade a terra,
le luci si spengono mentre l'ascensore si blocca.
«Che
succede adesso?» sbotta
lei. In effetti è una situazione imprevista, non mi era mai
successo. Faccio alcune ipotesi, mi viene subito in mente che sia uno
scherzo di Dorotea: è una donna dalle mille risorse e già in altre
occasioni, intuendo le mie preferenze e i miei desideri, aveva
trovato il modo di lasciarmi solo con qualche donna a cui facevo il
filo. Diavolo di una socia:
come avrà fatto? Mi viene da ridere mentre penso alla faccia di lei
che pensa a noi due al buio in un metro quadrato scarso.
L'ascensore
è al buio completo, anche i tasti sono spenti, anche il tasto
dell'allarme.
Luisella
tira fuori l'ipad per telefonare, alla luce dello schermo la sua
faccia ha riflessi lunari, i capelli rossi sembrano blu, la pelle
sussurra: carezzami!
Ma
non c'è linea, strano. Forse la tromba dell'ascensore scherma le
onde. Tiro fuori il mio cellulare e neppure quello
ha campo.
«Pazienza,
si accorgeranno che l'ascensore è bloccato e chiameranno
l'assistenza. Siamo stati i primi ad uscire, tutto il
personale dell'ufficio è
ancora dentro. Tempo qualche minuto e si accorgeranno che siamo
imprigionati» osservo io.
Lei
non risponde, suppongo che abbia fatto lo stesso ragionamento.
Restiamo in silenzio nel buio, con le spalle appoggiate alla parete.
«È
in macchina?» domando.
«No,
sono venuta con i mezzi».
La
sua voce nel buio mi fa
fantasticare di parlarle di tante cose, di chiederle di lei, della
sua vita. Mi sento inferiore, mi rendo conto che ha studiato, girato
il mondo e sa
molte più cose di me. Ma avrei voglia lo stesso di conoscerla
meglio, di capire i suoi ritmi, le sue attese, le sue prospettive.
«Se
vuole l'accompagno. Dove abita?»
«Non
c'è bisogno, grazie.»
«Paura
che le faccia la corte? O è disdicevole per una femminista farsi
dare un passaggio con un
SUV?»
«Lei
ragiona troppo. Non c'è nessun ragionamento. Solo che non vedo
ragioni per cui lei debba disturbarsi.»
«Nessun
disturbo, la assicuro.»
«Frase
fatta. Sa quante volte l'ho sentita? Invece accompagnarmi sarebbe un
disturbo e la gente si aspetta che i disturbi vengano ricambiati.
Quindi è meglio evitare i fraintendimenti. Non le pare?»
«Nel
senso che lei non ha intenzione di ricambiare? Se un giorno mi
vedesse sotto la pioggia
alla fermata del bus non mi darebbe un passaggio?»
Ride:
«No,
al contrario. Io in generale sono sempre molto generosa. Ma se i
favori li faccio io, sono più tranquilla, so che non mi aspetto
nessun ricambio.»
«Il
fatto quindi è che voi femministe siete convinte che gli uomini
siano una razza inferiore, calcolatori,
con doppi fini, incapaci di gesti gratuiti.
È così, vero?»
La
sento sorridere al buio. «Vuole
la guerra? Vuole discutere di femminismo e questioni di genere? Non
sa cosa rischia: se non ci liberano prima, lei passerà un brutto,
brutto
quarto d'ora, dottore.»
NB:
Imprenditore Precario, diario di un imprenditore qualunque, è un
personaggio di pura, masochistica fantasia, e un riuscito tentativo di
evasione sociale e politica. Ogni riferimento a fatti e persone è
accuratamente selezionato e voluto nella speranza di provocare quel
minimo di sussulto di coscienza che ci faccia sperare di non vivere nel
paese degli zombie. So bene che Malafemmina le cose le vede da un altro punto di vista, ma la cosa non mi preoccupa. Affatto.
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