Accidenti se è brava
Accidenti se è brava, tanto di
cappello.
Vuoi vedere che questa volta Dorotea ci
ha preso?
In due giorni ha sistemato l'agenda
che Carlotta aveva vandalizzato per vendetta quando non le abbiamo
rinnovato il contratto. Poi risponde al telefono che è uno schianto:
meglio che di persona, molto meglio. La prima volta che le ho
telefonato ci sono rimasto male quasi avessi
sbagliato numero. Una voce calda, sensuale quel tanto che basta,
professionale e amichevole al tempo stesso, rapida, precisa nel
cogliere il succo del discorso.
Con le lingue è una favola, passa
dall'inglese al francese come se bevesse un caffè. Accidenti,
difficile credere che a quaranta anni suonati, quasi cinquanta
(guarda un po', mi rendo conto adesso che non conosco precisamente la
sua età. Domandarlo non si può, con le donne non è educato) una con tutte queste doti non abbia ancora un posto stabile nella redazione di un
giornale o nella segreteria di un manager.
Ha anche qualche difetto, ammettiamolo.
Ad esempio per fare bella figura si porta il lavoro a casa. Non mi
piace perchè nei decenni che ho passato ad assumere e licenziare
collaboratrici (al novanta per cento donne, già) ho imparato a
riconoscere quelle che ti daranno problemi con più probabilità:
quelle che all'inizio si impegnano di più per fare bella figura,
quelle che vorrebbero farti credere che per loro non c'è orario, che
sono a disposizione ventiquattro ore al giorno, quelle che puoi
chiedere quello che vuoi. Alla fine ne fanno una questione personale:
ma come con tutto quello che mi sono impegnata, con tutto quello che
ho dato. Come se dipendesse da me o da loro. Certo, se ti impegni
probabilmente lavorerai di più di chi non si impegna, ma non è
automatico. Ci vuole tempo, alle volte servono anni prima di
raccogliere quello che hai seminato.
Io preferisco quelle “patti chiari,
amici cari”, quelle che timbrano puntuali all'entrata e all'uscita,
che non si perdono in convenevoli durante l'orario di lavoro, quelle
che non strafanno ma sanno mantenere nel tempo le loro promesse.
Quelle che si fermano anche per prendere un caffè, ma è un caffè
oggi e un caffè tra un anno, mentre quelle del primo tipo, quelle
che la prima settimana arrivano un'ora prima e vanno via due dopo,
che lavorano dieci ore di fila senza pausa, quelle che lavorano anche
a casa, bhè proprio quelle dopo qualche mese passano il tempo alla
macchinetta del caffè che se gli misuri la pressione ti scoppia
l'apparecchio.
Va bene, se devo trovarle un
difetto è che Luisella è troppo brava e si impegna troppo.
Ci vorrà del tempo perchè io abbassi le difese, ho imparato a mie
spese a nutrire i miei sospetti, ma se lo merita prima o poi le darò
fiducia.
Oggi è venuta al lavoro con una
minigonna in jeans, assolutamente inadatta ad un ufficio, che quando
accavalla le gambe mostra le mutande nere. Ma a Dorotea piace e a me
non dispiace. Non so come se la caverà quando dovremo uscire in
pubblico, che è il succo del nostro lavoro alla fine: lanciare delle
linee di produzione organizzando eventi con nomi famosi che si fanno
pubblicità perchè i giornali ne parlano e nel contempo parlano
dell'occasione per la quale essi si sono riuniti e così senza che
nessuno se ne accorga si fa pubblicità a quel marchio o a quella
linea. In quelle occasioni una minigonna in jeans sarebbe una
catastrofe, ma vedremo. Finchè deve gestire l'agenda e il telefono,
si può vestire come le pare, già.
A vederla vestita così mi è venuto in
mente che sia femminista e la cosa mi ha messo allegria, come quando
senti parlare dei mammuth e di qualche altra specie estinta. Sono
andato alla sua scrivania e mi sono seduto su di un angolo
guardandola dall'alto al basso. Per un po' è andata avanti come se
non ci fossi, scartabellando le schede clienti e confrontando i
numeri con l'agenda informatica. Ogni tanto mi gettava un'occhiata
interrogativa come al gatto sul davanzale. Finalmente si è decisa a
fermarsi e mi ha chiesto se mi servisse qualcosa. Le ho risposto di
sì e le ho fatto alcune domande su come organizzava l'agenda e su
alcuni contatti che aveva avuto. Lei all'inizio mi rispondeva sulle
sue, come se fosse sorpresa che mi occupassi del suo lavoro. È
convinta, o era convinta, che qui dentro il capo nella sostanza fosse Dorotea e la cosa mi diverte. Perchè fa parte della mia strategia
tirare su dei collaboratori a cui faccio credere di avere più
autonomia di quanta ne abbiano, e quando sono pronti li prendo anche
come soci.
Perchè questa è la mia storia. Perchè
senza raccomandazioni l'unica cosa che si può fare è quella di
inventarsi il lavoro e se il lavoro te lo inventi non riesci a
concepire chi invece il lavoro lo chiede. Non riesco a concepire che
la gente non si immedesimi in quello che fa. Eppure dopo decenni di
illusioni mi sono reso conto che quelli che non hanno la mentalità
dei dipendenti sono la minoranza e quelli conviene assorbirli,
prenderli nella barca e non lasciarseli scappare. Il che non vuol
dire che io molli le redini, ci mancherebbe, ché se solo mi
sfiorassse il sospetto che Dorotea si allarga più del ragionevole,
ci metto due minuti a lasciarla a casa.
Luisella perrciò si è convinta che Dorotea sia la socia di maggiornaza, solo per il fatto che la
maggior parte delle decisioni qui dentro le prende lei e io sembro
distante e non coinvolto. Il mio interessamento perciò la coglie in
contropiede. Dopo che l'ho interrogata una decina di minuti su quel
che sta facendo, stupendola perchè le ho dimostrato di conoscere i
particolari del suo incarico, le chiedo se posso farle una domanda in
confidenza.
Lei mi guarda con i suoi occhi
verdemarino e replica con tono di sfida: «Dica
pure».
«Posso
chiederle se è femminista?»
dico io.
Lei
mi fissa e risponde gelida: «Si,
perchè? È un problema?»
Ci
mancherebbe, dico io, la politica della mia azienda e mia personale è
che qui non si fanno distinzioni o discriminazioni basate sul sesso,
sulla razza o sulle opinioni politiche o religiose. Era solo una
curiosità personale. Sorrido, mi alzo e mi allontano.
Mi
accorgo che mi ha messo di buon umore, come se fossi tornato al liceo
quando le ragazze erano tutte femministe e la vita scorreva via
spensierata. Porto dentro qualcosa di caldo, quasi avessi rivisto una
cara amica, o avessi scoperto una amicizia nuova.
So
bene che non posso permettermi troppe confidenze: Gertrude ha seguito
tutta la discussione dalla sua scrivania ed entro pausa pranzo ne
saranno informati anche gli autisti. Gli equilibri in una azienda con
tutte queste donne sono difficili. Per fortuna c'è Dorotea, sulla
cui complicità e riservatezza posso contare come se fosse una
sorella. Quando voglio
restare solo con una
donna è lei che mi capisce al volo e trova la combinazione giusta
perchè le cose vadano come devono andare. Non siamo ancora a quel
punto però:
Luisella è una donna in gamba, una lavoratrice, non ci sono ragioni
per andare oltre.
Ma
non si sa mai.
NB:
Imprenditore Precario, diario di un imprenditore qualunque, è un
personaggio di pura, masochistica fantasia, e un riuscito tentativo di
evasione sociale e politica. Ogni riferimento a fatti e persone è
accuratamente selezionato e voluto nella speranza di provocare quel
minimo di sussulto di coscienza che ci faccia sperare di non vivere nel
paese degli zombie. So bene che Malafemmina le cose le vede da un altro punto di vista, ma la cosa non mi preoccupa. Affatto.
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