Femminicidio #15

 

Marina guarda la laguna dal settimo piano del grattacielo al centro di Mestre. È il venticinque dicembre del 2042.
Guarda l'orizzonte e pensa a quello che non vede. Non vede il Palais Lumiere, l'edificio avveniristico che lo stilista Cardin avrebbe voluto costruire trenta anni prima. Non c'è, perchè in molti si opposero: perchè avrebbe modificato il paesaggio e perchè ci sono sempre ragioni per opporsi.
Quel palazzo non costruito è al di là della storia in un altro mondo.
Laggiù non c'è neppure il campanile di San Marco. A centoventi anni dal suo primo crollo è caduto ancora, ma non l'hanno ricostruito, non c'erano più risorse. La prima volta, invece, agli inizi del 1900, le risorse per ricostruirlo c'erano. Vedi un po'!

Altre cose sono rimaste, ma solo di facciata: la basilica della Salute è stata acquistata da un ricco sceicco e trasferita pietra su pietra a Dubai. Dobbiamo ringraziare il sindaco perchè è riuscito ad imporre allo sceicco di lasciare a Venezia una riproduzione in resina bianca, identica all'originale. Meno esposta all'azione corrosiva degli escrementi dei piccioni, per fortuna.
Marina ha ottantadue anni, respira a fatica e si guarda le mani diafane nella luce del sole velato appena sorto all'orizzonte.
Il grattacielo è nel silenzio totale, se non fosse per il fischiare rabbioso del vento che non si ferma mai. Per il resto i pochi inquilini rimasti non fanno rumore.
Quando lo stilista Cardin litigava con l'amministrazione comunale per realizzare il suo sogno, aveva novanta anni suonati, dieci più di quanti lei ne ha oggi, ma una energia e una iniziativa ben diversi.
Allora l'appartamento di Marina era considerato un appartamento di lusso, nei dieci piani del palazzo: abitavano famiglie facoltose, avvocati, politici, industriali. Soprattutto dai piani alti è magnifica la vista verso il mare ad est e verso le montagne sempre innevate a nord.
Marina non ha altro da fare che ripensare alla vita trascorsa, rimescolare i ricordi.
Da diversi anni l'appartamento al settimo piano è tutto il suo mondo: è andata in vacanza l'ultima volta dieci anni prima, con la sua compagna Agnese, prima che morisse per un ictus. Da allora non è più uscita dalla città e anzi il raggio dei suoi spostamenti si è ridotto a poche centinaia di metri: la distanza del panificio, del fruttivendolo, del supermarket.
Sente la vita del condominio come fosse la propria, la vita di una creatura che con il tempo cambia, cresce, matura, invecchia.
Trenta anni fa la prima famiglia di colore fu una notizia difficile da credere: che avessero i soldi per potersi permettere un appartamento lì. In ogni caso ben presto furono accolti e integrati dalle altre sessanta famiglie: tutte persone colte e civili per le quali il colore della pelle non conta; la differenza tra uomo e uomo non sta nella pelle, o perlomeno non in quella pelle. La differenza vera sta nella pelle del portafoglio, e soprattutto in ciò che quello custodisce.
Anno dopo anno gli stranieri aumentarono, fino ad arrivare quasi a metà del condominio. In un appartamento venne ad abitare un cinese che ne fece un bordello. Un bordello di classe però, nessun rumore, ragazze gentilissime ed educate, tutte cinesi. Clienti distinti.
Agli altri condomini la cosa non piacque: quella attività faceva perdere valore agli immobili; perciò quando il cinese fu arrestato e sulle finestre dell'appartamento comparve la scritta affittasi, tirarono un respiro di sollievo.
Come era logico aspettarsi, il cartello rimase esposto diverso tempo: è naturale che la gente abbia delle reticenze a dormire in stanze da letto dove altri non dormivano affatto. Quando un secondo appartamento si liberò e il cartello esposto si consumò al sole e alla pioggia, un pensiero molesto iniziò a delinearsi nelle occhiate che si scambiavano tra loro in ascensore.
Quello fu l'inizio di una cosa che non avrebbero neppure immaginato solo qualche anno prima. Nel giro di poco tempo quasi la metà degli immobili rimase vuota, e gran parte di coloro che restavano, se non erano nostalgici, erano comunque gente media, poveracci. Quelli che avevano sale in zucca e soldi in tasca se ne andarono.
Lei e Agnese scoprirono di essere prigioniere: quell'appartamento infatti era la loro sola proprietà e il suo prezzo crollò tanto velocemente da non lasciare loro tempo per pensare ad una permuta e le pensioni erano troppo esigue per un mutuo o un prestito.
Si, una prigione. Gli inquilini sempre più odiosi e cattivi, la maggior parte non pagava le spese comuni, le riparazioni indispensabili erano rinviate di anno in anno, pezzi di intonaco e di cornicione si staccavano nel pieno della notte e cadevano sul marciapiede con un rombo funesto.
Tra qualche giorno poi la prigione avrebbe rinforzato le sbarre: erano in procinto di fermare l'ascensore, in quanto l'amministrazione non poteva pagare la manutenzione. Fare sette piani di scale alla sua età non era facile.
L'ascensore sarebbe rimasto come un rettile congelato nell'anima del palazzo, come il Mose all'orizzonte: quel progetto mastodontico per salvare Venezia dall'acqua alta che non entrò mai del tutto in funzione; però neppure i ghiacci dei poli si sciolsero, le maree non crebbero, anzi cominciarono ad abbassarsi e Venezia sopravvisse anche senza Mose e con ben altri pensieri.
Il pensiero principale, infatti, erano i giovani. Non ci sono più giovani, le case sono vuote e gli anziani tirano la cinghia con pensioni sempre più leggere. Gli immigrati sono spariti, da un pezzo hanno smesso di sognare il Belpaese. Trovare un infermiere è impossibile, le badanti sono parte del passato come le favole della bisnonna, muratori e idraulici sono lavori da bricolage.
Marina non riesce più ad arrivare a fine mese, da tempo ha rinunciato ad acquistare medicine e ad andare dal medico. Ormai la sanità è tutta a pagamento, quindi fuori dalla portata della maggior parte degli anziani.
L'unica prestazione ancora garantita dal Servizio Sanitario Nazionale è l'eutanasia.
Si trovò a lamentarsi, forse influenzata dal Natale, era infatti il 25 Dicembre, l'ho già detto, insomma si sorprese a lamentarsi che ci sarebbe voluto un bambino, sì, come quello di Betlemme, un bambino vero, in carne ed ossa, e non uno solo, ma uno per famiglia, per appartamento, per stanza. Per riempire gli infiniti spazi vuoti di questo mondo freddo e morto.
Da anni non partecipava più alle celebrazioni di Natale, da quando si era sciolta la Chiesa Rosa, quella imposta dalla Comunità Europea che sanzionò l'Italia perchè consentiva che nella Chiesa Antica ci fosse una selezione misogina della classe dirigente.
La Chiesa Rosa fu messa in piedi nel giro di pochi mesi, composta di sacerdotesse, vescove e una papessa eletta democraticamente, la quale si sporgeva dal balcone di San Pietro il mercoledì per diffondere il messaggio di gioia e speranza. Marina aveva partecipato a quelle liturgie. Ripensandoci non ne ebbe alcun rimpianto: celebravano un mito, rappresentavano simboli. Ma ciò di cui ha bisogno, adesso, Marina, non è un simbolo, ma carne e sangue, un bimbo vero, che scalcia a piange e fa pipì e cacca. Ne ha un bisogno fisico, come una morsa nella carne. Quel bimbo che non ha voluto sessanta anni prima, quello che non ha mai turbato la sua vita con Agnese, quello che non l'ha mai intenerita.
Marina deve concedere ai sacerdoti della Chiesa Antica che ai miti loro ci credevano. Lei invece rideva delle superstizioni, sul Dio in tre persone, sull'incenso che doveva salire al cielo ad allietare l'olfatto divino, del pane contrabbandato per carne ebrea. Di quelle favole lei non aveva mai sentito bisogno e considerava un segno di civiltà e maturità intellettuale il riconoscimento esplicito, da parte delle sacerdotesse, che si trattava solo di miti e simboli.
La notte appena trascorsa, scrutando le strade buie e le rare auto, si era domandata se ancora da qualche parte ci fossero dei cristiani che si trovassero, magari di nascosto, a coltivare illusioni.
Ecco: non di miti, non di leggende, non di cerimonie né liturgie lei, in questa mattina fredda e umida, ha bisogno. Ma di un bambino in carne ed ossa.
Tuttavia il Sistema Sanitario garantisce ancora solo una prestazione.

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