Femminicidio #11
Rabindra girò tra le mani i
sandali di corda che aveva aggiustato e ne rimase soddisfatto. Poi li calzò per
vedere se si adattavano bene ai piedi o se gli davano qualche fastidio.
Infine si alzò, completamente
nudo nel freddo sole dell’Himalaya. Quei sandali di corda erano il suo vestito
da almeno cinque anni. Si stupì di andarne fiero, come se si fosse servito
direttamente da Gucci o Armani. Poi prese la forcola e si avviò al lavoro
quotidiano.
Più o meno cinque anni. Sì,
grosso modo, perché per lui il tempo non ha mai avuto un grande significato. Un
anno o un secondo non contano nulla di fronte all’unico istante nel quale
comprendi il senso della tua vita. Aveva contato in modo approssimativo gli
anni riandando con la memoria agli inverni passati e al nome che aveva dato a
ciascuno: il gran freddo, i vagabondi, gli uccelli affamati, la neve sottile, la
prima strada.
Grosso modo quindi da cinque anni
lavorava a quella strada, un tempo semi abbandonata, ne aveva allargato le
corsie, rinforzato il ponte di corde che attraversava il torrente incassato tra
le rocce. Buffo che un ingegnere informatico, quale lui era, dedicasse la
propria vita a strade e ponti. E a tessere i propri sandali, sorrise. Buffo e
difficile da prevedere quando trenta anni prima era partito dalla sua città
natale, nel Guayarat meridionale, per andare a studiare in America.
In quelle grandi solitudini aveva
ripensato tante volte alla sua vita: si riteneva molto fortunato ad aver vissuto
così intensamente, ne andava fiero. Laureato molto bene in ingegneria informatica,
aveva avviato una attività in società con alcuni ingegneri americani. Loro gestivano
il sistema informatico di alcuni ospedali: di giorno i radiologi americani
facevano le radiografie e le archiviavano nel server della società. Di notte,
quando in America è notte ma in India è giorno, i tecnici della sua società
tiravano fuori le radiografie dal server, le facevano refertare ai medici
indiani e le riponevano entro la sera dove le avevano trovate. La sera, quella
che in India era la sera ma in America era mattina, gli impiegati della società
americana stampavano radiografie e referti e le consegnavano ai pazienti. Era un
ottimo business.
In quegli anni aveva conosciuto
Anna, una italiana che lavorava come ricercatrice in ospedale. Si erano
innamorati, fidanzati, sposati. Poche parole per descrivere un percorso molto
più accidentato. Perché per sposarla Rabindra aveva dovuto combattere contro la
propria famiglia. I genitori erano intellettuali emancipati, non prendevano
molto sul serio il sistema delle caste e tutto il resto della tradizione
religiosa indù. Ma per quanto di larghe vedute non approvavano che lui
prendesse una decisione così importante senza la loro supervisione. A posteriori
ammetteva che avevano ragione.
Allora invece era giovane e
presuntuoso. Si sposarono in Italia. Lui dovette farsi battezzare perché lei
era cattolica e voleva assolutamente sposarsi con un lungo abito bianco. Il prete
gli domandò se credeva in Gesù Cristo. Ovvio, che domanda, certo che ci
credeva. Si dimenticò tuttavia di chiedergli se credeva anche in Shiva, Vishnu,
Buddha, Maometto. Non c’è alcun dubbio: lui credeva e crede che tutto ciò che
è, è; così come tutto ciò che non è, non è. Non c’è alcun motivo per credere al
Dio dalla testa di elefante e non al Dio morto in croce. Sono tutte
manifestazioni dell’immenso, del sempre presente e sempre sfuggente Tutto.
Ad ogni modo il prete non
approfondì troppo, lo battezzò e li sposò. Poi si trasferirono in India, dove
la sua azienda cresceva giorno per giorno.
Ma Anna non si adattava. La famiglia
di lui era molto accogliente, forse da parte di alcuni cugini c’erano delle
resistenze: disapprovavano il battesimo e che lui adesso frequentasse la chiesa
cattolica, erano induisti convinti e puristi. Ma in generale il clima era molto
aperto e accogliente. Tuttavia Anna non legava, era sempre un po’ sulle sue.
Ebbero due figli e quando questi
ebbero circa cinque, sei anni, lei si impuntò che voleva tornare in Italia. Non
era per il lavoro: lì lavorava in una succursale della sua azienda, di cui lei
era titolare, che gestiva i rapporti con i medici dell’ospedale. Il fatto è che
voleva che i figli imparassero bene l’italiano e crescessero in Italia.
Acquistarono perciò un grande
appartamento in Campo dei Miracoli, a Firenze. Splendido panorama, davvero. Lei
ritrovò le sue vecchie amiche, molto cambiate. Si reinserirono, lui imparò l’italiano,
il suo business si adattò e crebbe ancora. Nuove opportunità da cogliere, nuovi
stimoli e nuove idee.
Gli ultimi cinque anni su quella
strada lo avevano obbligato a ripercorrere migliaia di volte la storia del suo
matrimonio. Ancora però non riusciva a spiegarsi cosa fosse passato per la
mente della moglie, che divenne ogni giorno più insofferente. Per quanto lui si
sforzasse di accontentarla, lei era sempre infelice, insoddisfatta, piena di
accuse e recriminazioni. Come se lui fosse la colpa di tutto il male che
gravava sul mondo.
Anche in India, certo, talvolta
capita che i coniugi litighino. Ma Rabindra in ogni caso era spaesato: la
moglie aveva una mancanza di rispetto a cui lui non riusciva in alcun modo a
rispondere. Non aveva spiegazioni. Di quel periodo ricordava alcuni episodi, perché
lo segnarono e lo portarono dove era adesso.
Un giorno, dopo la messa, lui era
in ginocchio, raccolto in silenzio. Attorno per ogni dove, vicino all’altare
come verso l’uscita, era tutto un vociare di donne. Donne in pelliccia o in colorati
cappotti di marca, donne con pettinature vaporose, con gioielli sulle spalle
nude, donne con vistose minigonne. Sembrava di essere al mercato. Tuttavia lui
si era fatto la sua bolla, non sentiva nulla, era lui da solo con l’Eterno. Suo
figlio piccolo lo strattonò: “eddai papà, ci muoviamo?”. La moglie
chiacchierava vicino all’uscita e lo aspettava impaziente. Uscendo si trovò a
domandarsi per quale ragione nelle chiese cattoliche alle donne viene data
tanta libertà di movimento. Perché non c’è uno spazio riservato agli uomini,
dove sia possibile raccogliersi davvero senza distrazioni. Spesso vedeva le
donne girare addirittura attorno all’altare con la massima insolenza.
Un’altra volta, ad una messa di
Natale, a mezzanotte, sentì leggere una lettura nella quale un tale diceva: “Preparate
le strade al Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Sarebbe stato bello, pensò
tra sé, preparare la strada del Signore e aspettarlo, e quando lui fosse
arrivato con il suo carro di fuoco, prostrarsi a terra e dirgli: ecco la strada
che io ho preparato per te. Fu un attimo, quell’immagine fu davanti agli occhi e
poi se ne andò. Rabindra per anni si domandò quali fossero le strade che lui
doveva preparare. Lo domandò a tutti i pret i che incontrava, ma quelli lo
guardavano perplessi e rispondevano per enigmi. Le strade del cuore. Ma dove
sono queste strade? Come si preparano? Nessuno gli rispondeva in modo chiaro. Prega,
gli dicevano, e troverai le risposte che cerchi.
In quei tempi era sempre in giro per il mondo. Partiva il
lunedì per Delhi, da lì ripartiva il mercoledì per Washington. Il sabato
scendeva a Fiumicino. Ripensandoci si rammaricava che la moglie negli anni
fosse sempre più secca e scorbutica, ma a quei tempi non ne avesse tratto alcun
avvertimento.
Finché un sabato, scese dal treno
a Firenze Santa Maria Novella, prese un taxi e arrivò a casa. Infilò la chiave
nella toppa, ma la chiave non girava. Tentò per dieci minuti, suonò il campanello,
bussò, ma non ci fu nulla da fare. Restò sulla porta. Chiamò al cellulare la
moglie: questa gli rispose che era ora che si trovasse un’altra sistemazione.
Rimase senza parole, girò sui
tacchi e andò a dormire in un albergo vicino. Lunedì contattò un avvocato, nel
pomeriggio parlarono a lungo. Il giorno dopo fissarono un appuntamento da un
notaio con la moglie e l’avvocato della moglie.
Lui arrivò per primo, sedette
nella stanza che sapeva di antico e di carte polverose. Nel giro di qualche
decina di minuti arrivarono anche il suo avvocato, Anna e l’avvocato di lei.
Anna e il suo avvocato aspettavano impazienti e curiosi di conoscere la sua
proposta. Il notaio entrò con un pacco di carte. Rabindra le aveva già firmate,
per cui le sporse ad Anna. L’avvocato di lei le prese e le scrutò sgranando gli
occhi, poi li porse alla sua cliente invitandola a firmare. Rabindra le
lasciava tutte le proprietà compresa l’azienda informatica in India.
Lei firmò, poi si alzarono e si
salutarono. Rabindra lasciò una busta con un assegno al proprio avvocato e al
notaio, scese all’albergo, prese la valigia e si diresse alla stazione. Andò a
dormire alla casa paterna per una settimana. Poi salì sulle strade dell’Himalaya.
Sapeva di un rishi che viveva nudo sulle rive del Gange. Lo trovò e sedette
dinanzi a lui in silenzio, dopo aver posato dei fiori per terra.
Restarono così qualche ora. Il sole
tramontava quando il vecchio disse, in un soffio di voce: “c’è un sentiero,
lassù sulla montagna, tra due villaggi, che scavalca un profondo torrente. Nessuno
lo cura e la gente fatica a scendere a valle”.
Rabindra sentì i le lacrime
solcargli le guance, si prostrò davanti al rishi e si girò avviandosi per la
strada che quello gli aveva indicato, senza voltarsi.
Usò i suoi ultimi soldi per
comprare una motosega, un decespugliatore, attrezzi per il bosco, corde,
carburante. Si fece un riparo ad una curva della strada indicata e cominciò a
tagliare alberi e a riempire buche. In tre mesi i cinque chilometri di strada
erano di nuovo percorribili anche con i carri o con le auto. C’era, è vero, il
blocco del ponte di corda sul torrente. Lui lo aveva riparato ed era davvero un
bel ponte, caratteristico. Ma non poteva sostenere carri né veicoli a motore. Per
cui anche coloro che arrivavano fin lì con quei mezzi, a quel punto scendevano
e proseguivano a piedi.
Con tutta la legna tagliata aveva
fatto grandi cataste sui bordi della strada. Di tanto in tanto gli abitanti del
villaggio a valle o di quello a monte, ne prendevano su qualche ciocco, senza
dirgli nulla. E lui ringraziava.
Un giorno, cinque anni prima,
mentre era poco distante a tagliare ramaglie con la forcola, alcuni mendicanti
gli rubarono la motosega e il decespugliatore. Lui li vide e si mise ad
inseguirli. Loro scapparono, ma il peso degli attrezzi li rallentava, così li
raggiunse presto. Loro posarono gli attrezzi a terra e si disposero ad
affrontarlo. Giunto davanti a loro affannato, si fermò e li guardò in volto. Poi
si tolse la giacca e la diede ad uno, i pantaloni all’altro, la camicia al
primo, le scarpe al secondo, gli indumenti intimi e i calzini. Completamente nudo,
si girò e tornò al propri lavoro.
Da allora era vissuto così. Unico
lusso: si era fatto dei sandali di corda. Da quel giorno gli abitanti del
villaggio di sotto cominciarono a portargli un piatto di riso, ogni due o tre
giorni. Allo stesso modo quelli del villaggio a monte. Quando non veniva
nessuno, mangiava radici o bacche del bosco, o digiunava e ne traeva gran
profitto.
Qualche tempo dopo vennero a
trovarlo i parenti. La madre, i fratelli, i cugini. Si sedettero davanti a lui
e si guardarono a lungo. Un cugino si avvicinò e cominciò a bisbigliargli nell’orecchio
che sua moglie, Anna, aveva portato la sua azienda al fallimento, per cuiil
cugino l’aveva rilevata e rilanciata e adesso… Rabindra lo guardò negli occhi, il cugino si
interruppe di colpo, arrossì e tornò a sedere dietro a tutti. Rimasero così ancora
un’ora abbondante, poi si alzarono, gli si prostrarono davanti, e se ne
andarono senza voltarsi, lasciandogli tanti fiori sparsi per terra.
Allo stesso modo vennero dei
poliziotti. Si sedettero e gli chiesero il nome. Lui rispose con nome e
patronimico. Loro presero nota. Rimasero ancora un bel po’ in silenzio, poi si
alzarono, si inchinarono a baciargli i piedi e se ne andarono.
Erano passati cinque anni. Non era
più stupito di aver superato l’inverno sulla montagna completamente nudo, aveva
imparato a regolare il respiro, a dormire cullato dagli alberi e dal vento. Ascoltava
la voce di Colui che viene e attendeva.
Pensava spesso alla sua vita ed
era contento che fosse stata così intensa e piena di cose, persone, fatti.
Ripensava all’Occidente e si dispiaceva della malattia mortale che lo consumava
nell’incoscienza. Pensava che il punto più evidente della gangrena erano le
donne. Inquiete come in preda al delirio, menavano colpi a destra e a sinistra,
a sé e agli altri, spandendo attorno il male e il cattivo odore della
disattenzione.
La disattenzione: quello era la
malattia principale dell’Occidente e delle donne. Recriminavano perché volevano
svestirsi e andare in giro nude e recriminavano perché vedevano in giro troppe
donne nude. Volevano essere indipendenti e volevano che altri provvedessero
alla loro sicurezza e al loro benessere.
Mentre così ragionava sentì un
motore arrancare su per la strada. Scese perciò verso il proprio riparo e andò
a sedersi.
Dall’auto scese sua moglie. Dall’altro
lato i suoi figli. Come erano cresciuti!
Lei gli si avventò contro,
insultandolo e ingiuriandolo, come se si fossero lasciati il giorno prima. Gli
tirava la lunga barba e gli strappava i capelli. Lui la guardava sforzandosi di
mettere a fuoco un punto molto oltre, molto più in là.
Chissà, pensava, forse questa è l’ultima
prova. Forse adesso verrà il Re sul carro di fuoco.
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